Corriere 31.10.17
L’incognita siciliana pesa sui rapporti governo-pd
di Massimo Franco
L’
insistenza sul fatto che il voto siciliano di domenica non avrà
riflessi nazionali è sempre più martellante e sempre meno convincente.
Non perché rimetta in bilico la segreteria del Pd, blindata dal
congresso; o perché può creare sconquassi nel centrodestra o tra i
Cinque Stelle. Ma quel test così insulare verrà letto inevitabilmente
come anticipo di una tendenza generale. E dunque sarà usato non tanto
per destabilizzare un partito o l’altro, ma per correggere in corsa
strategie e alleanze tuttora indefinite: in primo luogo nell’arcipelago
rissoso della sinistra. Il timore è che eventuali tensioni si scarichino
sul governo .
Alla vigilia della legge di stabilità, la
preoccupazione è che un’ennesima battuta d’arresto possa accentuare lo
smarcamento del Pd. Colpisce l’invito del presidente del Consiglio,
Paolo Gentiloni, a «portare il Paese a elezioni ordinate nella primavera
del prossimo anno». Parole scontate, ma significative dopo le tensioni
delle ultime settimane su Bankitalia col vertice del suo stesso partito.
Vanno affiancate a quelle di Francesco Rutelli, che nega il gelo tra
Gentiloni e Renzi, « due personalità che si completano. Spero che
collaborino in modo altrettanto completo».
Sono indizi di una fase
che si aprirà tra una settimana; e che potrebbe far registrare o
un’intesa più stretta, o un’accentuazione delle distanze. Condizionati
dalla tenuta nei sondaggi del M5S, che sembra immune dai riflessi
controversi delle sue giunte di Roma e Torino, i dem stanno cambiando
toni. La disponibilità a cedere qualcosa alla sinistra interna e a Mdp,
il gruppo nato dalla scissione, è tattica. E forse arriva troppo tardi.
Ma risponde all’esigenza di arginare una diaspora riproposta dall’uscita
dal Pd del presidente del Senato, Pietro Grasso.
La prospettiva
di una frantumazione ulteriore dell’area di governo renderebbe più
difficile la «fine ordinata della legislatura» chiesta da Gentiloni; e
una ricomposizione dopo il voto politico: il mancato accordo in
Lombardia su un candidato comune con Mdp alle Regionali lo conferma.
Dando per probabile un insuccesso in Sicilia, il partito insiste nel
declassarlo. E blinda il vertice. Ma il «dopo» segnerà una pressione
crescente per piegarlo a una linea più inclusiva. Eppure, non è
verosimile che Renzi accetti un cambio di strategia: anche perché gli
avversari finora hanno dato l’impressione di puntare solo al suo
indebolimento.
All’ombra di questo scontro, si accentua la
sensazione di una partita siciliana giocata tra centrodestra e M5S. Il
ministro degli Esteri, Angelino Alfano, si dice ancora convinto della
vittoria del centrosinistra, col quale è alleato. E punta il dito contro
la Lega di Matteo Salvini, accusato di «volere i voti della Sicilia per
difendere gli interessi del Nord». È un attacco che risente di una
ruggine antica. Ma tocca un tasto sensibile della competizione tra
Carroccio e Forza Italia: a livello nazionale, però .