Corriere 27.10.17
il presidente del Senato
«In questo partito non mi riconosco»
«Una
decisione sofferta» quella del presidente del Senato Pietro Grasso di
lasciare il Pd, un partito «nel quale non mi riconosco più nel merito e
nei metodi».
di Monica Guerzoni
ROMA «La misura è
colma, politicamente e umanamente», ha confidato un Pietro Grasso
«molto amareggiato e deluso» prima di comunicare ufficialmente la
clamorosa rottura con il Pd di Renzi. «Decisione sofferta», che il
presidente del Senato ha assunto dopo averci pensato sopra a lungo: «È
l’unica scelta che possa certificare la distanza da una deriva che non
condivido». Parole pesanti, spedite all’indirizzo del Nazareno per
marcare la distanza dall’attuale inquilino.
Da quando nel 2013,
con Bersani alla guida, il Pd lo portò sullo scranno più alto di Palazzo
Madama, per la seconda carica dello Stato è cambiato tutto. Sono mutati
«i principi e i valori condivisi, che negli anni si sono andati
disperdendo». Grasso non si riconosce più «nel merito e nel metodo» e
vede con preoccupazione le prospettive future di questo Pd. Un partito
che potrebbe imbarcare in coalizione pezzi di centrodestra e di cui
condanna «comportamenti che imbarazzano le istituzioni e ne minano la
credibilità e l’indipendenza».
L’ex magistrato che studia da
leader politico ha resistito «per dovere istituzionale» fino a quando il
Rosatellum, che giudica guastato da «enormi difetti», è diventato
legge. A quel punto, soppesata anche la «forzatura» per lui evitabile
delle cinque fiducie e l’ennesima botta al ruolo e alle funzioni del
Senato, il presidente ha detto addio al gruppo del Pd e, d’ufficio, sarà
da oggi un membro del Misto.
Il vaso era colmo da un pezzo. I
durissimi mesi di lavori e contrasti sulla riforma costituzionale, il
rischio «plebiscito» denunciato da Grasso nel gennaio 2016, le critiche
nel luglio dello scorso anno verso i «toni apocalittici» di Renzi
durante la campagna referendaria... Un avviso ai naviganti Grasso lo
aveva spedito mercoledì dallo scranno della presidenza. Rispondendo alle
provocazioni del pentastellato Vito Crimi, il presidente aveva rivelato
quanto «duro» fosse per lui, nonostante il profondo malessere,
«resistere e continuare piuttosto che accettare una fuga vigliacca».
Ieri
ha ascoltato il discorso di Luigi Zanda sperando di trovarci qualche
sillaba in sua difesa e invece niente, neanche un cenno allo scranno più
alto che era stato occupato per protesta. Un’altra goccia di amaro,
dopo le tante mandate giù con gli attacchi del presidente dem Orfini,
subìti da Grasso come immotivate e reiterate offese. Quando si è deciso
all’addio ha avvertito Zanda ma non Renzi, con il quale da molto tempo
non ha rapporto alcuno.
Ben più assidui sono i contatti con Pier
Luigi Bersani e gli altri dirigenti di Articolo 1-Mdp, alla ricerca di
un leader nuovo e spendibile per la campagna elettorale. «Dipenderà da
lui», dicono in via Zanardelli, dove l’effetto Grasso è stato già
testato con «risultati ottimi».
Se il presidente sarà in campo, la
mossa a sorpresa di ieri illumina il perimetro di gioco. Dopo la guida
della coalizione in Sicilia, i vertici del Pd la settimana scorsa gli
avevano offerto un collegio sicuro, ma lui ancora una volta ha
rifiutato. E non è solo questo l’indizio che porta a immaginare un
rapido avvicinamento al partito dei fuoriusciti, coordinato da Roberto
Speranza. Bersani non smentisce la suggestione di affidare al presidente
la leadership del movimento, vista anche l’accoglienza che a settembre,
alla festa di Napoli, gli riservò il popolo di Mdp: «È un’ipotesi».
Il
corteggiamento va avanti da mesi ed essere tirato per la giacca da
sinistra lo lusinga, tentato com’è dalla «possibilità di fare un
percorso visionario». Eppure in queste ore prevale la cautela: «Per il
futuro vedremo. Non è oggi la giornata giusta per pensarci».