Corriere 26.10.17
Dopo Weinstein
Il consenso e la libertà delle donne
di Barbara Stefanelli
L
a cronologia del «caso HW» sul sito del Los Angeles Times si apre con
la deposizione di una ventiduenne italiana: il produttore hollywoodiano
viene accusato di un’aggressione sessuale avvenuta al Tribeca Film
Center. Siamo a New York, marzo 2015: scopriremo dopo che lei è Ambra
Battilana Gutierrez. In quello stesso anno, in ottobre, arriva l’accusa
di Ashley Judd contro l’innominato «boss di Hollywood, il più potente».
Un anno dopo — ottobre 2016 — un’altra attrice americana, Rose McGowan,
risponde a una campagna social legata all’hashtag #WhyWomenDontReport
(perché le donne non denunciano) e racconta di un grande imprenditore
cinematografico «stupratore»: di nuovo niente nomi. Un altro anno e
siamo all’ottobre 2017: il 5 il New York Times pubblica l’inchiesta che
ripercorre due decenni di abusi attribuiti a Harry Weinstein, elenca
vittime famosissime, cita una serie di accordi legali di copertura.
Ancora cinque giorni ed esce il New Yorker con il lavoro che Ronan
Farrow ha prima inutilmente proposto alla rete Nbc con la quale
collabora(va). La lista delle donne molestate si allunga, tra loro ci
sono Asia Argento e una seconda attrice italiana la cui identità rimane
coperta: sappiamo che a spingerla a parlare sarebbe stata la figlia
adolescente.
Una sola settimana e la diga è rotta. Oggi Weinstein
il grande è sotto inchiesta in più Paesi, è stato cacciato dalla sua
società e dalla Academy degli Oscar, privato della Legione d’Onore
francese, ha anche annunciato di essersi affidato a una terapia anti
dipendenza.
L e denunce contro di lui intanto si moltiplicano,
quasi non si contano più. E si spostano verso altri produttori e
registi, verso altri Paesi, altri settori. A Le Monde Juliette Binoche
spiega di non aver avuto problemi con Weinstein, ma di essere stata
aggredita sessualmente da un maestro a 7 anni, da un regista a 18 e un
produttore a 21. Si riapre anche il file Polanski: «Avevo dieci anni»,
racconta Marianne Barnard, ora pittrice e fotografa. La Condé Nast fa
circolare un’email in cui invita le testate del gruppo a «distruggere e
sostituire» i servizi firmati da uno dei fotografi di moda più glamour e
adulati: Terry Richardson, sul quale da tempo si incrociano le voci per
comportamenti abusivi con le modelle. Laurene Powell, vedova di Steve
Jobs e neo proprietaria di The Atlantic , sospende il lancio della
rivista Idea dopo aver saputo che il direttore incaricato Leon
Wieseltier per anni ha molestato alcune colleghe (reo confesso,
licenziato). Gli hashtag che chiamano a rompere il silenzio — #metoo,
#balancetonporc, #quellavoltache — portano il fiume dei racconti nei
palazzi dell’Unione Europea: i fascicoli anonimi per fatti avvenuti
dentro le istituzioni sono una montagna. La svedese Asa Regnér rievoca
un episodio di inizio carriera: un leader politico più anziano e molto
noto la invita per un drink, dicendosi «interessato alle sue idee». Nel
buio del locale la spinge e palpeggia. E lei si chiede: come ho fatto a
pensare che volesse ascoltarmi, ma quanto sono stupida? Rivela
l’episodio solo adesso: «Mi sono data coraggio, visto quello che sta
succedendo».
E questo è il punto. Perché sta succedendo adesso? E
soprattutto: dopo l’autunno 2017, niente sarà più come prima o la marea
delle voci si ritirerà lentamente?
Le riflessioni più pessimiste
ragionano su quanto è avvenuto in un passato non lontano. Che cosa è
rimasto dell’affaire Clinton-Lewinsky, per esempio? Chi ha pagato sono
state una stagista accusata di essere un’arrampicatrice un po’ oca,
salvo aver custodito lo scalpo della lavanderia, e una moglie tradita,
che si è trascinata dietro l’ombra del collaborazionismo come una coda
nera. Quanto (poco) ha inciso lo scoop del Washington Post sulle frasi
del candidato Trump, che spiegava come gli uomini di potere possano
afferrare le donne che desiderano? E che cosa dimostra la versione
nostrana del grande scandalo globale con Asia Argento divenuta il
principale oggetto del dibattito, in un clima da stadio dove curve
opposte l’hanno demolita o difesa spingendo il mogul violentatore nelle
retrovie dei ragionamenti nazionali?
La vicenda italiana ha avuto
l’unico merito di provare quanto le resistenze sessiste siano radicate,
quanto sia stata e sia potente la forza di fondo che vuole torcere
l’attenzione dagli uomini, che hanno sfruttato in modo illecito una
condizione consapevole di supremazia, verso il comportamento non eroico
di una giovane donna, che «non è stata capace» di dire no e che poi «ha
taciuto» lungamente. Il segno dei tempi, tuttavia, non sono queste
resistenze fracassone al cambiamento. Il segno profondo dei tempi è la
maggior comprensione di che cosa siano un abuso di potere e una molestia
sessuale. Per questo — anche se non sarà una rivoluzione a lavaggio
rapido, piuttosto un auspicio e soprattutto un impegno — niente potrà
essere come prima. Attraverso la lente d’ingrandimento sensazionale del
«caso HW», da una parte le donne hanno visto spaccarsi in mille pezzi il
guscio della vergogna, quello in cui si sono rinchiuse e continuano a
rinchiudersi per paura di restare poi sole, senza sostegno sociale o
familiare, magari attribuendo a se stesse la colpa per quelle situazioni
sbagliate e castigandosi al silenzio per espiare lo spavento (viene
definito processo di «rivittimizzazione»). Dall’altra, gli uomini hanno
potuto vedere fino a che punto l’impunità del «fattore P» come
patriarcato — la formula è di Suzanne Moore del Guardian — continui a
fare da schermo a quelli che sono reati contro la persona e vengono
invece archiviati con disinvoltura tra le cose della vita. Le voci
maschili che — pur in ordine sparso, in ritardo, con sgomento — hanno
rotto l’omertà di genere stanno tracciando una linea che andrebbe
riconosciuta e preservata quando le grida si affievoliranno.
La
confluenza di questi due spostamenti — delle donne dalla vergogna, degli
uomini dall’impunità — offre un’occasione, uno spazio affrancato
dall’indignazione per affrontare insieme, con audacia, il nodo del
consenso. Proviamo a far risuonare i nostri no, a pronunciarli senza
paura; impariamo ad accoglierli, a non leggervi altri significati.
Scegliamo la sfida di relazioni nuove, libere, simmetriche.
Ripartiamo da queste due parole che sono semplici e radicali: consenso, rispetto.