Il Fatto 26.10.17
Caso Weinstein: il polverone fa male alle donne
di Luisella Costamagna
Cara
Asia Argento, ha visto che polverone? Dopo le sue rivelazioni su Harvey
Weinstein, non passa giorno che qualcuno non denunci una nuova
molestia, non prenda posizione sulla vicenda (la stilista Donna Karan
prima dice che le vittime se la sono cercata, poi si scusa), Flavia
Vento fa sapere che Weinstein (anzi Weistein come da suo tweet) non ci
ha mai provato, perfino Fiorello racconta di minacce da parte del
produttore (una lettera in cui gli scrive che, avendo rifiutato una
parte, non lavorerà mai più negli States). Eccetera. Eppure, di fronte a
vicende come questa, tutto ci vorrebbe fuorché il polverone. Se si
perde la lucidità, è finita. Weinstein diventa genericamente “l’Orco”,
una specie di personaggio da fiaba, e si finisce col perdere di vista
ciò di cui stiamo parlando.
Per un reportage ho passato un periodo
in un centro antiviolenza (sì, quei luoghi a cui tagliano costantemente
i fondi), a contatto con donne che cercavano con fatica di ricominciare
dopo anni di botte e umiliazioni, e ho raccontato in un libro la storia
di una donna (ora un’amica) che da vittima di violenza è diventata
operatrice in quegli eroici centri. Beh, ciò che mi ha colpito (oltre
naturalmente alle cicatrici, fisiche e morali, che ho visto) è che la
maggiore difficoltà delle donne abusate è proprio trovare chiarezza.
Rendersi davvero conto della cosa terribile che stanno subendo e
decidere di conseguenza. Quanto prima.
Cara Asia, la violenza
sulle donne in Italia, in quest’Italia che lei ha detto di voler
abbandonare per le critiche ricevute, è un fenomeno dilagante, si tratti
di molestie, di vera e propria violenza sessuale o di femminicidio. A
fronte di ciò, le denunce continuano a essere pochissime (nel caso delle
molestie sul luogo di lavoro, ci dice l’Istat, addirittura un misero
1%). È su questo che dobbiamo interrogarci, senza farci distrarre dalle
provocazioni, dai leoni (o avvoltoi) da tastiera, dalle lacrime di
coccodrillo e da tutti coloro che hanno interesse a che una questione
maledettamente seria, che necessita di visione lucida, venga sepolta dal
polverone di cui sopra. Perché altrimenti dimenticheremo di parlare del
fatto che, se non si prende coscienza e non si denuncia, è per paura.
Paura di non essere credute, paura delle ritorsioni, paura
dell’incertezza della pena. Vedere Weinstein in un’aula di tribunale,
giungere a una condanna esemplare, sarebbe la più potente delle
immagini, medicina, deterrente, pungolo, spot; ma sappiamo che
difficilmente succederà, perché i troppi anni trascorsi rendono
improbabile un’eventuale inchiesta. E se lui la farà franca – magari
riemergendo un giorno a dire davanti alle telecamere che è molto pentito
per i suoi errori – la paura delle donne, soprattutto delle donne
comuni per cui tutto è ancora più difficile, crescerà.
Una paura
che cresce anche di fronte al suo lungo silenzio e a quello delle altre
star di Hollywood: “Come posso io trovare il coraggio, se non lo hanno
trovato loro?”. Per questo – perché l’esempio e la parola altrui sono
tutto –, se un domani dovesse imbattersi in un’amica, una conoscente,
una fan che si trova in una situazione analoga alla sua e ha bisogno di
consiglio, le dica di denunciare, e di farlo subito. Dopo è sempre
tardi.
Un cordiale saluto.