domenica 22 ottobre 2017

Corriere 22.10.17
Il salto nel buio e l’ombra della violenza
Salto nel buio in Catalogna ma la Costituzione va difesa
di Franco Venturini

Ora che l’inevitabile è accaduto, la partita tra Madrid e Barcellona entra nel tempo dei pericoli estremi. Era certo inevitabile, al punto in cui si era giunti, che il primo ministro Mariano Rajoy evocasse l’articolo 155 della Costituzione per sospendere l’autonomia e l’autogoverno della Catalogna
In primo luogo a causa della personalità umana e politica dei due protagonisti della contesa, Rajoy alla testa degli unionisti spagnoli e Carles Puigdemont alla guida degli indipendentisti catalani. Entrambi determinati, e propensi a vedere in ogni compromesso il segno di una sconfitta. Entrambi convinti delle loro buone ragioni ma anche deboli, perché privi di una maggioranza di governo (Rajoy a Madrid) oppure sostenuti da consensi parlamentari fragili (Puigdemont a Barcellona). Entrambi pressati dai falchi del proprio schieramento. Entrambi impegnati in una personale battaglia di sopravvivenza politica. Si somigliavano troppo, Rajoy e Puigdemont, perché uno di loro potesse prevalere sull’altro prima dell’ultima resa dei conti: articolo 155 contro dichiarazione di indipendenza. E ora, dopo le schermaglie tattiche volte a colpevolizzare la controparte, è a questo risolutivo braccio di ferro che siamo arrivati.
Rajoy ha voluto annunciare contemporaneamente l’amministrazione controllata della Catalogna e nuove elezioni regionali entro sei mesi. Forse per rispondere alle immediate accuse di «franchismo» e di repressione della volontà popolare dei catalani. Di sicuro per soddisfare le richieste appena udite al vertice europeo di Bruxelles: la Ue ti appoggia, siamo per il rispetto del dettato costituzionale in tutti i nostri Stati nazionali, non possiamo e non vogliamo interferire negli affari interni spagnoli, ma il governo di Madrid non prenda posizioni che possano apparire antidemocratiche all’opinione pubblica. Dopo le foto e i video delle manganellate dei poliziotti madrileni il giorno del referendum, era il meno che Rajoy potesse sentirsi dire. E l’appuntamento elettorale, per quanto generico, risponde bene a questa esigenza. Per ora, perché non è detto che i calcoli del primo ministro risultino esatti.
L’articolo 155 è la versione costituzionale di un salto nel buio. La sua vaghezza affida al capo dell’esecutivo, previa (e scontata) ratifica del Senato, il potere di scegliere i mezzi più opportuni per far cessare lo stato di illegalità. Ed è non a caso soltanto questo che Rajoy ha annunciato ieri di voler fare. Ben sapendo, bisogna ritenere, che ogni passo del governo unionista in Catalogna comporterà rischi altissimi anche per le istituzioni centrali.
Puigdemont potrebbe non essere destituito ma soltanto privato di tutti i suoi poteri che passeranno a un organismo transitorio espresso dal governo di Madrid. Lo stesso accadrà per gli altri membri del governo catalano e per il Parlamento di Barcellona, che conserverà soltanto funzioni di rappresentanza. E se Puigdemont, che ieri sera ha confermato in piazza la sua volontà di andare avanti, disobbedisse? Se i parlamentari si ribellassero all’imposizione? Bisognerebbe arrestarli. Come, di notte? Usando la forza (errore già fatto) ? Oppure in Catalogna ci sarebbero due governi paralleli, e il mondo intero riderebbe?
Lo stesso vale per il controllo della polizia catalana, gli ormai celebri Mossos d’Esquadra. Se gli agenti si rifiutassero di eseguire gli ordini? E se tv e radio respingessero i controllori paracadutati da Madrid? Un caso di repressione della volontà di opinione, in uno dei più importanti soci europei? Uno scenario turco sulle Ramblas?
C’è dell’altro. Una parte della popolazione è ormai mobilitata a favore dell’indipendenza e ha cominciato subito a far sentire la sua protesta. Gran parte della burocrazia catalana non lavorerà per Rajoy. Nel tempo episodi di violenza non possono essere esclusi. La situazione economica continuerà a peggiorare (proseguono l’esodo delle imprese e il calo di investimenti e turismo) inasprendo ulteriormente gli animi. Altre regioni autonome della Spagna potrebbero non volere che in Catalogna si crei un precedente. E alla fine le elezioni saranno sì più regolari del referendum indipendentista, ma avranno su di esse il timbro di Madrid. Un timbro che potrebbe spostare la maggioranza dei consensi, che secondo i sondaggi oggi è unionista, dalla parte degli indipendentisti. Chiudendo la partita.
Mariano Rajoy ha tirato il dado nella sua Madrid, con l’unica opposizione di Podemos che parla di sospensione della democrazia. La sua difesa della Costituzione avrebbe potuto avere il conforto di scelte migliori, ma è giusta e democratica. Eppure a Barcellona la storia sarà diversa. E non è detto che basti spiegare, per l’ennesima volta, che la secessione non garantirebbe alla Catalogna un posto in Europa. Semmai il contrario. Ma a quello scenario l’Europa preferisce non pensare, fintanto che può permetterselo.