Corriere 21.10.17
L’Italia longeva che cerca lavoro e fa meno figli
di Milena Gabanelli
L’Istat
ha fatto un lavorone: ha analizzato l’Italia e l’Europa durante i 60
anni di matrimonio. Il confronto è esteso anche all’Ue a 28, ma qui ci
guardiamo allo specchio fra i sei Paesi fondatori, quelli che nel ’57
diedero vita alla Cee firmando il Trattato di Roma. All’epoca Italia,
Francia, Germania Ovest, Belgio, Olanda e Lussemburgo erano più o meno
nella stessa barca.
Da allora la struttura produttiva è cambiata
profondamente, ma almeno fino al 2008, le economie di questi Paesi sono
andate convergendo, il potere d’acquisto procapite ha avuto una crescita
impetuosa, e noi abbiamo anche beneficiato delle solidità delle
economie più forti, specie quelle tedesche.
L’export
Poi la
crisi ci ha trascinato al crollo della domanda interna, al blocco degli
stipendi e all’arresto de consumi, a cui si aggiunge, nel 2011, il
«rischio Paese». Le imprese più dinamiche, dalla manifatturiera alla
meccatronica, si sono orientate verso i mercati esteri, e dal 2012
l’export ci sta salvando. Una ripresa faticosa e ancora lontana dai
«soci» europei, che nel rapporto debito-pil stanno a quota 90, mentre
noi siamo a 132,6.
La ricerca
Eravamo in coda negli
investimenti in ricerca e sviluppo negli anni 60, e lo siamo ancora
oggi: 1,3% del pil contro il 2,3%. Gli altri Paesi fondatori hanno da
sempre, più o meno, investito il doppio di noi. Il dato curioso è che
abbiamo un numero di dipendenti occupati nella ricerca non lontano dalla
media europea: 1,12% rispetto all’1,42%.
Il tasso di
disoccupazione a 2 cifre ce lo trasciniamo dalla metà degli anni 80. C’è
stato un bel recupero con il passaggio all’euro, ma dal 2012 siamo
tornati a numeri preoccupanti: 11,9% contro una media del 7,5%. L’Italia
è in ritardo in generale sul lavoro: il numero di persone in attività è
sempre stato più basso, nel 1960 lo scarto era del 5% , oggi supera il
12%. In Italia lavora il 57% della popolazione contro il 69% della media
europea. Una differenza dovuta al fatto che le donne lavorano meno.
Negli anni 60 erano più occupate in agricoltura, negli anni 80 si è
recuperato terreno, (forse un riflesso del femminismo), per poi
precipitare, ed allontanarsi sempre di più dalla media europea.
Il gap nei salari
Le
donne italiane guadagnano il 5% meno degli uomini, ma la distanza
rispetto all’Ue è minore. In Germania nel 2015 hanno guadagnato
mediamente il 22% in meno rispetto ai loro colleghi maschi.
Siamo
invece il Paese con il più alto numero di automobili: 61 ogni 100
abitanti, contro i 54 dell’Europa a 6. C’è un perché: non siamo messi
bene con il trasporto pubblico.
Come in guerra
Altro dato
preoccupante: tutti gli europei sono poco prolifici, però noi siamo a
livelli molto bassi a partire dalla metà degli anni 60. Il dato
allarmante è che negli ultimi 2 anni la popolazione italiana sta
diminuendo. Di solito succede durante la guerra. Una conseguenza anche
attribuibile al fatto che si sposta sempre più in là nel tempo il ciclo
di vita (prima finisco di studiare, poi mi cerco un lavoro, quindi metto
su famiglia e faccio figli). Oggi le donne arrivano sempre più spesso a
fare il primo figlio al limite del tempo massimo. L’età media è di 32
anni contro il 30,9 dei paesi fondatori.
I laureati
L’Istat
registra che le donne italiane si laureano di più rispetto al resto
d’Europa, però il dato complessivo dei laureati ci vede all’ultimo posto
con un 26,2%. Quindi meno laureati, ma anche meno capaci di utilizzare
le nozioni imparate a scuola, perché l’università non indirizza
all’applicazione concreta. La ricaduta è una minore competenza rispetto a
francesi o tedeschi.
Un dato positivo: siamo passati da Paese con
la più alta mortalità infantile entro il primo anno di vita, a quella
più bassa: 2,8 per mille contro il 3,4. Altra notizia fantastica, siamo
il Paese più longevo d’Europa e il secondo al mondo. Questo grazie alla
qualità del nostro sistema sanitario, dell’attività di prevenzione e uno
stile di vita più sano.
Un Paese di anziani
Il rovescio
della medaglia è che stiamo diventando un Paese di anziani; noi che alla
fine degli anni 50 eravamo tra i Paesi più giovani, con metà della
popolazione poco più che trentenne, oggi supera i 45. Ma anche il resto
d’Europa è brizzolato, e questo sarà un problema, perché bisogna
produrre ogni anno un Pil che garantisca le condizioni di vita a cui ci
siamo abituati.
Se le teste che lavorano sono poche, il Pil
complessivo resta basso. Sarà complicato uscirne se non si rivedono le
politiche della famiglia, e in modo strutturato quelle migratorie,
perché dall’altra parte abbiamo la Cina: un colosso di un miliardo e
mezzo di persone.
Solo un’Europa integrata (così detestata dai
movimenti populisti) permette di affrontare i problemi che la dimensione
di uno stato nazionale non potrebbe mai risolvere da solo.