Corriere 19.10.17
I giochi pericolosi
di Antonio Polito
Lo
spettro di una gara elettorale tra tre populismi, paventato dal
Corriere alcuni mesi fa, si è materializzato l’altra sera a
Montecitorio. La mozione del Pd, che impegnava il governo a una scelta
sul vertice della Banca d’Italia nella quale il Parlamento non ha
poteri, aveva lo stesso identico obiettivo delle mozioni dei Cinque
Stelle, della Lega e di Fratelli d’Italia: liberarsi di Ignazio Visco,
per metter al suo posto qualcuno più «idoneo» — era scritto così — o più
amico. L’attacco alla sezione italiana della Banca centrale europea —
perché questo oggi è la Banca d’Italia — si faceva d’altronde forte di
uno dei tratti tipici del populismo: individuare un capro espiatorio per
le cose che non hanno funzionato, e darlo in pasto al pubblico. Non si
può onestamente escludere che l’attività di vigilanza e prevenzione
delle crisi bancarie sarebbe potuta essere in questi anni migliore e più
rapida. E del resto oggi i Governatori non sono più a vita proprio
perché se ne possa giudicare l’operato ogni sei anni. Ma le cose non
stanno come la vulgata populista racconta.
Per esempio: Renzi ha
spesso rivendicato al suo governo il merito di aver commissariato Banca
Etruria senza guardare in faccia nessuno, cioè il padre dell’allora
ministro Boschi. Ma non ha mai aggiunto che fu l’ennesima ispezione di
Banca d’Italia a rivelare il marcio di Arezzo e a richiedere il
commissariamento. Così come tutti quelli che oggi se la prendono con la
normativa europea del «bail in» considerandola la radice dei nostri
problemi bancari, sonnecchiavano beati nel 2013 quando fu solo la Banca
d’Italia a segnalare per iscritto i rischi di una introduzione troppo
repentina e retroattiva di quelle regole, senza che l’Italia riuscisse a
far passare questa tesi in Europa.
Ma lasciamo perdere. Non è
questo il punto di quanto è accaduto. Il punto è che il partito che
guida il governo, ed esprime la gran parte dei ministri, gli ha teso un
agguato parlamentare, senza neanche informarlo prima, tranne pare il
sottosegretario Boschi, creando così una tensione senza precedenti con
il Quirinale. Il quale giustamente si preoccupa di difendere l’autorità e
la credibilità del sistema che tutela i risparmi degli italiani, e le
prerogative di una scelta che compete al capo dello Stato. Per far
perdere la pazienza a Mattarella ce ne vuole, ma il Pd stavolta ci è
riuscito.
Ieri poi Renzi ha ribadito di averlo fatto proprio per
prendere le distanze dalle scelte che il governo Gentiloni si appresta a
fare su Banca d’Italia, addossandogliene la responsabilità: fate quello
che volete, è il suo messaggio, ma si sappia che non è in mio nome.
Come se quello di Gentiloni non fosse più, ammesso che lo sia mai stato,
il governo del Pd, il quale evidentemente non ne può avere uno davvero
suo se non è presieduto da Renzi. E come se, di conseguenza, la campagna
elettorale già cominciata avesse liberato le mani del Pd da ogni
responsabilità di governo. Magari portando ora l’attacco ieri fallito a
Visco nella Commissione d’inchiesta sulle banche.
Il punto è
questo: il partito di maggioranza, che sostiene il governo, non può
fargli l’opposizione, è tenuto a una responsabilità comune, di
collaborazione leale tra le istituzioni, soprattutto quando le decisioni
riguardano un Istituto la cui indipendenza è cruciale, perché è
chiamato a tutelare gli interessi dei risparmiatori, e abbiamo visto che
fine fanno le banche quando finiscono in mano ai politici e alle loro
consorterie locali. La sinistra democratica in Italia, fin dai tempi
dell’Ulivo, ha fatto della responsabilità fiscale e finanziaria il suo
vangelo, in un Paese le cui sorti nazionali dipendono dall’immane e
potenzialmente devastante debito pubblico che ha accumulato, e non
possono essere subordinate alle tentazioni demagogiche ed elettorali.
Qualche volta le sarà costato qualche voto, ma forse è anche questa la
ragione per cui non è scomparsa sotto i colpi della crisi come
praticamente in tutto il resto d’Europa, e Renzi dispone oggi di un
patrimonio di voti ancora rilevante, più o meno analogo peraltro a
quello che gli è stato lasciato dai suoi predecessori. Giocare
Bankitalia sul tavolo elettorale è pericoloso. Già le imminenti elezioni
porteranno con sé un elevato grado di incertezza politica, e Dio solo
sa se dopo il voto questi partiti un governo sapranno formarlo.
Mettere
anche in discussione il bene primario della stabilità, che stava dando a
questo governo i primi frutti in termini di crescita economica,
restituire l’immagine di un Paese in cui anche le principali autorità di
vigilanza sono ostaggio di una lotta politica perenne e senza
quartiere, e tutto può cambiare a ogni vento elettorale, è la ricetta
migliore per ripiombare l’Italia nel tutti contro tutti da cui siamo da
poco usciti, e di rimetterla nel mirino della speculazione
internazionale. Un atteggiamento oltretutto autolesionista, perché sulla
rovina comune nessuno può guadagnare, meno che mai chi si candida a
guidare il Paese .