Corriere 19.10.17
L’ultimo latitante del caso Moro e il mistero dell’arresto fantasma
Casimirri, trovato un documento nell’archivio dei carabinieri. Fuggì in Nicaragua nell’83
di Giovanni Bianconi
ROMA
La vita avventurosa dell’ex brigatista rosso Alessio Casimirri — uno
dei dieci componenti del commando che rapì Aldo Moro in via Fani, il 16
marzo 1978, oggi sessantaseienne cittadino nicaraguense — s’è dipanata
tra i giardini vaticani dove giocava da bambino, la lotta armata
praticata negli anni Settanta e il rifugio centro-americano dove vive
dal 1983. Mai passato da una prigione; unico tra i sequestratori del
presidente della Democrazia cristiana ad aver evitato l’arresto. Una
inafferrabile «primula rossa», intorno alla quale si sono costruite
ipotesi più o meno fondate, e persino leggende. Alimentate prima
dall’essere figlio e nipote di alti funzionari della Santa Sede, con
tanto di prima comunione ricevuta dalle mani di Paolo VI, e poi dalle
presunte protezioni garantite dal governo sandinista in Nicaragua.
Nome già noto
Oggi
però, dagli archivi del Comando provinciale dei carabinieri di Roma,
spunta un documento che rappresenta un mistero autentico, e ripropone
gli interrogativi sull’ex terrorista ancora uccel di bosco. È un
cartellino fotodattiloscopico utilizzato per identificare le persone,
saltato fuori dalle ricerche ordinate dall’ultima commissione
parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio Moro. La data
dell’avvenuto accertamento è il 4 maggio 1982, quando a carico di
Casimirri pendevano due mandati di cattura per associazione sovversiva e
partecipazione a banda armata, accusa debitamente annotata sul
cartellino. E alla voce «motivo del segnalamento» il compilatore tuttora
anonimo (c’è una firma illeggibile) scrisse «arresto». Ufficio
segnalatore: una serie di abbreviazioni che stanno a significare
«Reparto operativo carabinieri Roma».
Logica vorrebbe che per
Alessio Casimirri — un nome all’epoca già iscritto sulla rubrica delle
frontiere, come persona da fermare in caso di tentativo di espatrio —
quel giorno si fossero aperte le porte del carcere. Invece così non è
stato. Non risulta che l’allora militante delle Br dal nome di battaglia
«Camillo» (altro particolare segnalato sul cartellino) abbia mai messo
piede in una cella. Perché? Com’è possibile che un ricercato venga
fermato e fotosegnalato, ma poi liberato?
Dubbi e anomalie
Dell’operazione
non c’è traccia in nessun altro documento giudiziario, e alla data del 4
maggio ’82 non si hanno notizie del suo fermo né di altri terroristi.
Un arresto fantasma, insomma; certificato da un documento apparentemente
autentico, senza che si sia mai realmente verificato.
L’apparenza
dell’autenticità deriva dal fatto che il cartellino è di quelli
effettivamente in uso, nel 1982, alle forze di polizia, ma nella
compilazione ci sono alcune anomalie. La più evidente sta nella foto:
non è di quelle normalmente scattate negli uffici investigativi, su tre
lati (di fronte, fianco destro e fianco sinistro, accanto al misuratore
di centimetri che stabilisce l’altezza) bensì è un’unica fototessera,
trovata probabilmente a casa di Casimirri durante una perquisizione
(senza esito, lui non c’era) effettuata durante i giorni del sequestro
Moro, il 3 aprile ’78. Perché? L’indicazione del falso nome «Camillo» è
di provenienza ignota, e le dieci impronte digitali delle due mani
impresse su entrambe i lati non si sa di chi siano: per procedere a un
confronto la commissione Moro ha chiesto alle autorità nicaraguensi,
tramite canali diplomatici, il recupero di quelle autentiche, ma la
risposta (chissà quanto credibile) è che non le hanno. Nello spazio
riservato alla firma della persona segnalata, il carabiniere compilatore
scrisse «si rifiuta», e dunque non c’è nemmeno la possibilità di
perizie calligrafiche.
La lettera di Fioroni
Tutto questo
alimenta il mistero: si trattò di un’operazione interrotta (dopo il
fermo qualcuno intervenne per lasciare andare Casimirri), di cui qualche
zelante militare volle comunque dare atto lasciando una traccia rimasta
sepolta in un archivio per 35 anni? Oppure è un falso costruito
apposta? Ma da chi, quando e con quali finalità? Sono domande che
autorizzano a riproporre i molti enigmi maturati intorno all’ultimo
latitante del «caso Moro»; compreso quello, rimasto senza riscontri, a
cui accennò l’ex pubblico ministero Antonio Marini alla commissione
stragi nel 1995, quando riferì la voce secondo cui l’ex br sarebbe stato
un informatore di un ex capitano dei carabinieri (poi identificato nel
generale Antonio Delfino, morto nel 2014) che l’avrebbe passato al
Sismi, il servizio segreto militare. Teorie mai verificate, che tornano
d’attualità con la prova dell’arresto fantasma.
Per adesso il
presidente della commissione Moro, Giuseppe Fioroni, si è limitato a
scrivere una lettera al presidente del Consiglio Gentiloni, e ai
ministri Alfano, Minniti e Orlando, per sottoporre nuovamente al governo
la necessità di «promuovere l’estradizione del latitante Alessio
Casimirri». Fioroni ricostruisce la sua carriera di estremista e
brigatista, avanza «ampi dubbi sulle protezioni di cui egli poté
eventualmente godere», e cita il mistero del fermo per sostenere che
«poté sottrarsi alla giustizia grazie al concorso di una rete di
complicità che la Commissione sta cercando di ricostruire».