lunedì 16 ottobre 2017

Corriere 16.10.17
«In Catalogna chi perde è la ragione»
di Sara Gandolfi

Parla la giallista spagnola Alicia Giménez Bartlett. Oggi scade l’ultimatum a Puigdemont
«Forse un giorno, in futuro, la letteratura riuscirà a spiegare ciò che sta succedendo oggi in Catalogna. Noi scrittori dobbiamo distanziarci nel tempo dai problemi per raccontarli, non è un’arte “calda”, serve riflessione ed elaborazione, ri-creazione». Alicia Giménez Bartlett, la regina del giallo spagnolo, autrice della seguitissima (anche in Italia) saga di Petra Delicado, ispettrice della polizia di Barcellona, dura dal cuore sensibile, è cauta però non ha dubbi: «Petra è realista e, se dovesse affrontare il “caso catalano”, saprebbe bene che individualmente non si possono risolvere problemi politici. Ma sul piano personale avrebbe mandato i due governi «al carajo» (in italiano vaff...) e forse avrebbe chiesto la nazionalità italiana. Da voi ha molti amici». Oggi scade l’ultimatum posto dall’esecutivo di Madrid al presidente catalano Carles Puigdemont.
Nelle manifestazioni di questi giorni, a Barcellona come a Madrid, l’emozione sembra aver preso il sopravvento. Dove vi porterà?
«Saremo in grado di risolvere fra noi i problemi. La grande maggioranza degli spagnoli è pacifica e ama la vita. Le minoranze che scendono in strada possono trarre in inganno riguardo la situazione reale. Tuttavia, l’emotività senza freni degli ultimi tempi è preoccupante ed è stata alimentata dal governo catalano e dalle istituzioni catalaniste. Io, personalmente, sono molto afflitta. La “rivoluzione” della mia gioventù era fondata sulla ragione, sulla razionalità. Sembra che oggi solo contino le maledette emozioni, che sono così manipolabili».
Come si è arrivati fin qui?
«Il governo spagnolo ha commesso moltissimi errori: impedire una revisione dello statuto catalano di autonomia, che a suo tempo si considerò, sottovalutare la lingua catalana, non fare attenzione ai dettagli né al finanziamento economico. Ha fatto un disastro utilizzando la polizia duramente con la cittadinanza... Ma i politici catalani stanno a loro volta sbagliando: la mobilitazione in strada, le ambiguità, i calcoli machiavellici... Mi aspetto una svolta da parte di tutti».
Qual è il ruolo della società in questo processo di radicalizzazione?
«La società non è monolitica. La frangia dei giovani è stata importante: sono stufi del “sistema”, hanno ricevuto un’educazione scolastica che, in qualche modo, li ha portati a rifiutare la Spagna e, a causa della loro situazione lavorativa precaria, pensano di aver poco o nulla da perdere. Il resto della società è molto divisa. In alcuni casi, eccitare i sentimenti nazionalisti, sia spagnoli sia catalani, è un’irresponsabilità. Peggio, una stupidità. Perderemo tutti qualcosa in questa crisi».
E qual è il ruolo degli intellettuali?
«Da tempo non contano nulla. Non solo qui e in questa crisi, in qualsiasi società del mondo. Come ho detto prima: non è tempo per la razionalità. Il mondo ha lasciato alle spalle il pensiero, la cultura, lo studio sereno e filosofico della vita».
La lingua catalana è stata uno strumento importante nel riaccendersi del nazionalismo catalano, fin dai tempi del franchismo. O come dice il suo collega Javier Cercas è solo una lotta di potere?
«Non so se è una lotta di potere, però è ovvio che il malessere mondiale dei tempi che viviamo influisce su quanto sta accadendo anche qui. Nessuno sembra stare bene al suo posto e basta un niente perché tutto il tessuto sociale salti per aria. Ciò detto, non credo che la lingua catalana oggi sia in difficoltà».
Lei vive a Barcellona ma non è catalana e scrive in castigliano. Si sente straniera oggi?
«Il mondo della letteratura in castigliano e quello in catalano sono sempre stati molto separati in Catalogna: differenti celebrazioni, differenti premi... noi abbiamo sempre saputo che tutti gli aiuti del governo della Generalitat andavano ai libri in catalano, ma finora non c’era stato alcun problema, noi scrittori in castigliano sapevamo anche che la diffusione dei nostri libri era maggiore perché raggiungeva tutta la Spagna, per cui ci sentivamo ampiamente ricompensati. Non è mai esistita fra le nostre due comunità alcuna tensione».
In Italia si dice che Lei è la Camilleri di Spagna (o forse Camilleri è il Bartlett d’Italia?). Camilleri difende la «sicilianità» della sua terra. Anche Lei crede nel potere del localismo?
«È importante conoscere le tradizioni della tua gente, è divertente rivisitarle ma i localismi in genere vengono dal passato e il passato è sempre peggiore del presente. Non credo nella forza dei regionalismi, per questo odio le corride, che in fondo sono pura tradizione, o no?».
Vargas Llosa dice che in Catalogna ha preso piede un «provincialismo senza testa né coda». Condivide?
«Credo che un grande scrittore come Vargas Llosa avrebbe dovuto usare meglio le sue parole e non abbassarsi a termini offensivi né a semplificazioni, soprattutto quando si rivolge alle folle. È evidente (e lo fu anche ai tempi delle elezioni presidenziali in Perù) che è più bravo in letteratura che in politica».
A Barcellona nei giorni scorsi si sono visti in strada centinaia di manifestanti di estrema destra, con le bandiere franchiste, le croci uncinate e le uniformi militari. Il passato che torna?
«Il passato non tornerà. Ci sono gruppi di estrema destra in tutta Europa. In Spagna sono piccoli e mancano di qualsiasi prestigio sociale. I decerebrati non sono gradevoli da osservare, ma non devono inquietarci».