Corriere 16.10.17
Lo specchio di un malessere che è europeo
di Claudio Magris
Alla
conferenza di pace di Parigi, dopo la Seconda guerra mondiale, mentre
De Gasperi diceva, con straordinaria dignità, che sentiva come tutto
fosse contro di lui quale rappresentante dell’Italia, l’Austria veniva
onorata quale vittima del nazismo e dell’annessione, l ’Anschluss .
Andreotti
se ne sarebbe dichiarato ironicamente stupito, perché diceva di
ricordare bene le folle tripudianti, compresi eminenti porporati che
avevano accolto l’ingresso di Hitler a Vienna nel marzo 1938. Pure il
referendum sull’annessione si concluse con un plebiscito.
È
sterile evocare la doppia anima dell’Austria, l’affascinante impero
plurinazionale, ancorché lacerato da contraddizioni esplosive, con la
sua grande e aperta cultura e la torva Austria di molte ringhiose
chiusure. Dopo il 1918 e la dissoluzione dell’impero, l’Austria si è
trovata a essere una testa amputata del corpo, con una fisiologia
politica dissestata che ha vissuto con particolare e disordinata
intensità le contraddizioni che laceravano e infettavano l’intera
Europa. Lo scatenarsi dei nazionalismi, i fascismi di vario genere —
risposte paurosamente sbagliate a problemi reali che le democrazie non
sapevano affrontare — mentre il comunismo sovietico sempre più spietato
indeboliva direttamente o indirettamente, il socialismo democratico.
Nel
ventennio fra le due guerre mondiali la neonata Repubblica austriaca ha
visto lotte intestine e scontri militari tra formazioni di vario
genere, fasciste, comuniste, genericamente nazionaliste, tutte l’una
contro l’altra. Anni di guerra interna, il Palazzo di Giustizia di
Vienna incendiato nel 1927, le repressioni sanguinose del ministro
Schober. Un cancelliere austrofascista, Engelbert Dollfuss, ha
bombardato la ribelle «Vienna rossa», la Vienna dei quartieri operai la
cui umana edilizia è uno dei vanti dell’umanesimo politico; i nazisti
hanno assassinato il cancelliere fascista; il regime austrofascista
pateticamente difeso dalle divisioni schierate alla frontiera nel 1934
da Mussolini — allora molto critico nei confronti di Hitler — ha creato
dei Lager dove venivano rinchiusi insieme nazisti, comunisti, liberali,
socialisti.
Tutto questo ha lasciato ferite e spurghi velenosi nel
piccolo Paese, come è accaduto analogamente pure in altri Paesi.
Nonostante questo, la piccola Repubblica austriaca ha scritto, nel
secondo dopoguerra, pagine gloriose di tutela sociale, premessa
necessaria di ogni ordine e di ogni pace. Il Welfare austriaco ha fatto,
a suo tempo, della piccola Austria il Paese forse più europeo, perché
il Welfare — che in Austria ha avuto pure i suoi eccessi, alla lunga
fatali per un Paese — è una creazione europea per eccellenza, un
prodotto umano e politico che l’Europa ha dato al mondo.
Ora
l’Austria è inquinata da un malessere simile a quello che si diffonde,
come un’epidemia, in tanti Paesi del nostro mondo, rischiando di rendere
quest’ultimo non più il nostro mondo. I vincitori di oggi non sono dei
protagonisti; sono un fenomeno, una febbre, un rigurgito del peggior
passato nutrito dei mali più drammatici del presente. Sono un nostro
specchio, in cui la nostra faccia non è molto gradevole. Non una
pagliuzza, ma una trave nell’occhio dell’Europa. Finis Austriae? Come
disse il cancelliere Schuschnigg, abbandonando il Paese dopo
l’Anschluss, «Dio protegga l’Austria». Non solo l’Austria.