sabato 9 settembre 2017

Repubblica 9.9.17
Il guardasigilli: “Quella è una bozza, dovevo pur dare un punto di partenza. E c’è tempo fino al 3 novembre per trovare l’intesa”
La retromarcia del ministro “Discuteremo e cambieremo via il divieto di frasi integrali”
di Liana Milella

ROMA. «Di una cosa sono sicuro, non sarà questo il testo finale della riforma delle intercettazioni». Parola di Andrea Orlando che da New York, dove si trova per una breve vacanza, legge
Repubblica, e piglia le distanze dal decreto che pure, tra lunedì e martedì, resterà la base di discussione tra lui stesso, i capi delle maggiori procure italiane (Greco, Spataro, Creazzo, Pignatone, Melillo, Lo Voi), le Camere penali, la Fnsi (se alla fine accetterà di esserci), e noti giuristi. Un testo sottoscritto dall’ufficio legislativo di via Arenula, inviato ufficialmente ai protagonisti dei prossimi incontri, ma di cui il ministro della Giustizia dice: «Voglio essere chiaro su questo punto, questo è un testo di cui non riconosco la paternità». Anche se la lettera di accompagnamento portava in calce proprio la sua firma, Orlando – raggiunto per tutta la giornata dagli echi delle polemiche – la spiega così: «Da un punto di partenza dovevo pur cominciare, ma alla fine la riforma delle intercettazioni non sarà quella contenuta in quelle pagine». Neppure la disposizione più contestata e allarmante sia per il diritto di cronaca che per il lavoro stesso delle toghe, l’obbligo di non citare letteralmente e tra virgolette le intercettazioni, ma riportandone solo «il contenuto »? Anche su questo Orlando fa retromarcia rispetto alla bozza: «È un punto che sicuramente potrà cambiare».
Sono le 18, le 12 a N.Y, quando la voce di Orlando risuona conoscibilissima al telefono. Pronto a spiegare, chiarire, evitare una polemica sulle intercettazioni, di certo la legge più sensibile per il comparto della giustizia. Prima del governo Gentiloni, sulla riforma degli ascolti, si sono arenati Prodi e Berlusconi, si sono dovuti arrendere ministri pur politicamente e/o tecnicamente agguerriti come Flick, Castelli, Mastella, Alfano. Una presidente della commissione Giustizia come Giulia Bongiorno ha fatto da baluardo all’aggressione distruttiva dell’ex Cavaliere. Ma Orlando invece non vuole perdere l’occasione di cambiare le regole.
È proprio convinto, ministro, di voler portare a casa la riforma? Lui ci prova, incurante degli attacchi e delle polemiche di M5S che già gli piovono addosso: «La legge sul processo penale (che contiene la delega al governo per cambiare le intercettazioni, ndr.) mi dà tempo fino al 3 novembre. Entro quella data io devo presentare il testo in consiglio dei ministri. Poi, certo, sarà Gentiloni a decidere». Una sfida dunque, come quella sullo stesso processo penale approvato il 23 giugno ed entrato in vigore il 4 agosto, che contiene norme contestate come la prescrizione.
Ora tocca alle intercettazioni e all’annosa battaglia tra privacy e verità processuale, ai Trojan horse, captatori informatici che trasformano uno smart phone in una microspia, al carcere fino a 4 anni per chi registra fraudolentemente un colloquio tra privati.
Orlando si dichiara pronto alla battaglia. E vuole scansare la prima mina, quella bozza che già gli ha messo contro magistrati – molti agitano già lo spauracchio dell’incostituzionalità sull’obbligo del riassunto – e giornalisti. Nel corso della telefonata ripete più volte: «Alla fine il testo non sarà quello della formulazione iniziale, ma da un punto dovevo pur partire. Nel presentarlo durante le audizioni sarò chiaro nel dire che le opzioni sono tutte aperte perché quello che si apre è un confronto serio e vero, né finto, né fittizio ». Il Guardasigilli poi si rivolge ai magistrati: «Vorrei che anche le procure si assumessero la paternità del testo finale».
Sicuramente una questione da superare è quel riassunto che già allarma più di una toga. Ma Orlando lo considera superabile e vede come più impegnativi altri nodi. «In quel testo ci sono problemi molto più seri, in primo luogo l’udienza stralcio. Perché, se la si rende obbligatoria, la procedura rallenta inevitabilmente l’inchiesta. Ma se non si fa, si attribuisce solo al giudice la delicata incombenza di decidere quali intercettazioni sono rilevanti e quali no». Il ministro intravvede una soluzione: «Si potrebbe non renderla obbligatoria, ma farla solo su richiesta delle parti». Delicato anche il punto dell’archivio riservato, la futura cassaforte di tutte le intercettazioni che nessuno potrà né conoscere né pubblicare: «Qui bisogna avere delle certezze, e una può essere quella di affidare al capo della procura l’obbligo della vigilanza».
Nodi antichi e intricati. Non pensa, ministro, che sarebbe stato meglio fare una commissione? Orlando è scettico e chiude così il colloquio con Repubblica: «Ero pronto a farla, ma i tempi si sarebbero dilatati rispetto alla scadenza del 3 novembre. E poi non sono affatto certo che le polemiche non sarebbero state anche maggiori…».