sabato 9 settembre 2017

La Stampa 9.9.17
il referendum catalano sfida anche l’Ue
di Stefano Stefanini

Abbiamo fatto il callo ai referendum e alle spinte secessioniste. Gli uni non si contano. Delle altre non ce ne preoccupiamo più di tanto. Siamo convinti di poter limitare i danni. Queste comode sicurezze saranno presto messe alla prova. Il referendum sull’indipendenza che la Catalogna ha proclamato per il 1° ottobre rischia di precipitare la Spagna in una crisi costituzionale e politica e di aprire una ferita nel cuore dell’Europa.
Gli indipendentisti catalani sono in buona compagnia secessionista: le anime gemelle abbondano fra baschi, fiamminghi belgi e scozzesi. Il problema non è tanto quello che essi vogliono quanto il modo con cui lo perseguono: cercando, via referendum, una legittimazione politica che travalichi lo Stato di diritto. Nel giro di 48 ore, con una risicata maggioranza (72 voti su 135), il Parlament de Catalunya ha approvato la legge che convoca il referendum il 1° ottobre e la legge «di transitorietà». La seconda prevede, in caso di vittoria del «Sì» nel referendum, l’avvio automatico della transizione allo Stato catalano indipendente. Per Madrid, e soprattutto per la Consulta spagnola, sono incostituzionali, e quindi illegali l’una e l’altra. Il braccio di ferro è appena iniziato; l’esito incerto.
Il referendum catalano è una sfida alla Spagna ma anche all’Unione europea. La «legalità» costituzionale è un valore fondante delle democrazie occidentali. Per impedire che sia scavalcata dal barometro variabile degli umori politici gli Stati Uniti hanno praticamente blindato la loro Costituzione. Questo il motivo per cui la democrazia ha retto per oltre due secoli e mezzo, compresa anche una sanguinosa guerra di secessione. Le guide di Mount Rushmore spiegano che il volto di Lincoln è scolpito nella roccia «perché ha tenuto insieme l’Unione, non per l’abolizione della schiavitù».
Non ci sarà guerra per l’indipendenza della Catalogna, ma il referendum sta conducendo a un confronto senza esclusione di colpi istituzionali e giuridici fra Madrid e Barcellona. All’accusa d’incostituzionalità gli indipendentisti catalani rispondono facendo appello all’autodeterminazione dei popoli. Ma la loro sarebbe un’autodeterminazione ai minimi termini, e neppure maggioritaria. Per il referendum non è richiesto alcun quorum. Le previsioni (indipendentiste) sono di una maggioranza di circa il 60% su un’affluenza intorno al 70%: questo significherebbe che un terzo o poco più degli aventi diritto deciderebbe il futuro della Catalogna. Difficile immaginare che Madrid possa accettarlo.
Correndo alle urne per scegliere fra rimanere Spagna o dar vita a una Repubblica della Catalogna, Barcellona sta compiendo un forcing di brutalità politica senza precedenti in un Paese dell’Unione europea. La poca attenzione che la questione catalana ha finora ricevuto fuori Spagna è dovuta anche al desiderio di Madrid di non dargli rilevanza europea e internazionale. Le capitali lo rispettano. L’Ue ha già abbastanza problemi da non cercarne altri. Quest’indifferenza ha tuttavia i giorni contati. Volente o nolente, l’Ue dovrà fare i conti con le ricadute del referendum del 1° ottobre.
L’Europa può gestire le spinte secessioniste e di rigetto dell’integrazione sovranazionale finché restano in un solco di legalità istituzionale. Il referendum catalano si svolgerà (se si svolgerà) in un quadro giuridico d’illegalità e di aspro scontro politico col governo nazionale, che non ne riconoscerà né la tenuta né l’esito. Questo ne rende i seguiti imprevedibili e dirompenti. Non era assolutamente così nei precedenti canadesi, sull’indipendenza del Québec nel 1980 e nel 1995, e scozzese nel 2015.
Ingestibile è soprattutto il metodo referendario quando mette nelle mani di un elettorato sommariamente informato scelte complesse, talvolta vitali talvolta marginali, facendo leva su sentimenti ed emozioni anziché sulla ragione. Sarà così in Catalogna, com’è stato in Olanda lo scorso aprile (accordo di associazione Ue-Ucraina), nel Regno Unito lo scorso giugno (Brexit) o in Italia lo scorso dicembre (riforma costituzionale per l’abolizione del Senato).
Non è un caso che la Costituzione italiana circoscriva, saggiamente, il ricorso al referendum. Senza limiti, in nome di un’apparente democrazia, il referendum si traduce troppo spesso in un’abdicazione alle responsabilità di governo e in un trionfo delle emotività nazionali sull’interesse nazionale. Lo rischia la Catalogna il 1° ottobre; lo rischia l’Europa.