il manifesto 9.9.17
L’America ostaggio delle milizie
Hate
groups. All’origine dei gruppi armati di estrema destra che oggi
infestano le piazze statunitensi proclamando la necessità di prepararsi
allo «scontro finale» con il governo federale
Antinazisti a Charlottesville: «Non ci posso credere, sto ancora protestando contro i nazisti»
di Fabrizio Tonello
È
stato arrestato l’uomo che aveva sparato sulla folla a Charlottesville
nel corso della manifestazione dell’estrema destra lo scorso 12 agosto,
fortunatamente senza conseguenze: si tratta di un membro del rinato Ku
Klux Klan, Richard Preston. La marcia Unite the Right si era conclusa
con un morto, una ragazza che protestava contro l’invasione del campus
dell’università della Virginia, Heather Heyer, investita dall’auto di un
neonazista dell’Ohio.
LA GALASSIA di organizzazioni e gruppuscoli
che si era data convegno quasi un mese fa è fortemente eterogenea ma il
suo nucleo duro sono le cosiddette milizie, gruppi armati che
proclamano la necessità di prepararsi allo «scontro finale» con il
governo federale, considerato illegittimo e tirannico. Alcune decine di
membri di questi gruppi, vestiti in tuta mimetica e con i loro fucili
mitragliatori bene in vista erano presenti a Charlottesville, riuscendo a
intimidire la stessa polizia, che è stata molto criticata per non aver
impedito il contatto fra i neonazisti e gli studenti che protestavano
contro la loro presenza.
Secondo il Southern Poverty Law Center,
un centro studi di Montgomery, in Alabama, che monitora le attività
delle organizzazioni razziste e antisemite, ci sono circa 917 hate
groups attivi negli Stati Uniti oggi e, di questi, circa 165 sono
milizie armate, che nascono sulla scia di due incidenti degli anni
Novanta, uno a Waco in Texas e uno a Ruby Ridge, in Idaho, due episodi
che fecero da catalizzatore a sentimenti di estraneità e diffidenza nei
confronti del governo federale abbastanza diffusi nel West. Quest’ultimo
caso, avvenuto nell’agosto di 25 anni fa, merita una ricostruzione più
dettagliata perché la morte di una giovane madre ad opera di un tiratore
scelto dell’Fbi diede al “movimento” i suoi primi martiri.
RANDY
WEAVER E SUA MOGLIE Vicki lasciarono l’Iowa nel 1983 per stabilirsi
nella parte più settentrionale dell’Idaho, in mezzo alle montagne a
pochi chilometri dal confine canadese. Weaver era un ex berretto verde
legato a un movimento fondamentalista chiamato Christian Identity. Nel
dicembre 1990, Weaver viene messo sotto accusa per possesso,
fabbricazione e vendita illegale di armi da fuoco. Il suo processo deve
iniziare il 20 febbraio 1991 ma per un errore Weaver non si presenta
all’udienza e il 14 marzo un procuratore federale lo incrimina per non
essere comparso in aula.
GLI AGENTI FEDERALI, sapendo che Weaver è
in contatto con Christian Identity, lo vedono come un pericoloso
criminale, un Rambo capace di sopravvivere nei boschi e di eliminare un
intero battaglione mandato alla sua ricerca, mentre Weaver a sua volta
si autoconvince che ci sia un complotto del governo contro di lui e si
autosequestra in una capanna nei boschi a Ruby Ridge, insieme alla
famiglia.
Per un anno e mezzo, Weaver e le autorità giocano al
gatto e al topo: l’uno sempre più convinto che le forze del male siano
in agguato, gli altri sempre più sicuri che un’operazione paramilitare
su larga scala sia necessaria per effettuare l’arresto, visto che
l’intera famiglia è armata. Nella solitudine della casetta, Vicki Weaver
dà alla luce un quarto figlio, Elishaba.
Il momento della verità
arriva il 21 agosto 1992 quando Sam Weaver, il figlio quattordicenne di
Randy, e Kevin Harris, un ventiquattrenne che vive con la famiglia,
vengono sorpresi da sei sceriffi federali a poca distanza dalla casa. Ne
segue uno scontro a fuoco in cui muoiono Sam e uno degli agenti,
William Degan. Gli sceriffi federali si ritirano solo quando ricevono
rinforzi, dopo nove ore di battaglia in piena regola. Un’unità speciale
dell’Fbi chiamata Hostage Rescue Team viene fatta arrivare sul posto,
l’assedio comincia.
UNDICI TIRATORI SCELTI prendono posizione
attorno alla casa, dove ci sono adesso tre bambini, i coniugi Weaver e
Kevin Harris. È il comandante della squadra speciale, Richard Rogers, a
decidere che qualunque maschio adulto della famiglia Weaver (quindi
Randy Weaver e Kevin Harris) sarà considerato un obiettivo legittimo per
i tiratori dell’Fbi senza che ci sia bisogno di atti ostili da parte
sua. Si spara a vista. Queste regole per aprire il fuoco diventeranno
poi il cuore dello scandalo: tradizionalmente gli agenti federali sono
autorizzati ad aprire il fuoco soltanto se c’è un immediato pericolo di
vita per se stessi o per dei civili.
Il giorno dopo, sabato 22
agosto, Randy Weaver e Harris escono dalla capanna e immediatamente gli
agenti fanno fuoco: Weaver viene ferito alla spalla, Harris si precipita
verso la porta e un cecchino, Lon Horiuchi, spara anche su di lui. Il
colpo lo manca ma uccide Vicki Weaver, che aveva in braccio la piccola
Elishaba.
I vicini di casa di Weaver e gli abitanti della contea,
intanto, manifestano la loro ostilità contro il governo federale e le
sue «truppe di occupazione» innalzando cartelli come: «Lasciate in pace
la famiglia, andatevene a casa», «Cristiani contro la tirannia», «Basta
con questi abusi della nostra libertà», «Il governo mente, un patriota
muore».
LO SCONTRO SI CONCLUDE grazie alla mediazione di James
“Bo” Gritz, un ex comandante dei berretti verdi in Vietnam che aveva
avuto Weaver nel suo reparto 13 anni prima. Harris e Weaver vengono
rinviati a giudizio per l’omicidio dello sceriffo e per una infinita
serie di reati, ma nel corso del processo il vero imputato diventa
l’Fbi, che aveva deciso di sparare per uccidere e non solo per
rispondere al fuoco.
L’immagine di una madre americana uccisa
sulla porta di casa con una neonata in braccio sembrava fatta apposta
per commuovere i giurati.
NEL LUGLIO 1993 Weaver viene assolto da
tutti i capi d’imputazione, tranne quella di detenzione d’arma illegale,
per la quale viene condannato a 18 mesi di prigione, che finisce di
scontare poco prima del Natale 1993. La morte di Vicky Weaver diventa
una cause celèbre non solo per gli estremisti di destra ma anche per i
repubblicani alla Camera e al Senato. In fondo si trattava di una donna,
bianca, madre di una bimba di pochi mesi, uccisa sulla porta di casa da
una pallottola della polizia: una martire fatta su misura per chi
volesse mettere sotto accusa l’operato dell’amministrazione Clinton.
Quando
il governo eccede nell’uso della forza essere bianchi, cristiani e di
destra aiuta molto: la pressione della maggioranza politica repubblicana
è tale che nel 1995 il dipartimento della Giustizia preferisce chiudere
il caso Weaver con una mezza ammissione di colpa: in base a un accordo
firmato nell’agosto le tre figlie di Randy ricevono un milione di
dollari ciascuna per compensarle del «dolore» e della «sofferenza»
causate dalla morte della loro madre.
DA ALLORA, GLI WEAVER
diventano icone dell’estrema destra, simboli da imitare, come faranno
Ammon Bundy e i suoi amici, che nel gennaio 2016 occupano un piccolo
edificio, il Malheur Wildlife Refuge, in Oregon per protestare contro la
“prepotenza” del governo federale. Dopo 40 giorni di assedio e uno
scontro a fuoco in cui muore uno dei miliziani il gruppo si arrende ma,
anche in questo caso, la giuria popolare manifesta la sua simpatia per i
ribelli assolvendoli dalla maggior parte delle accuse.
Quando
Donald Trump rifiuta di condannare esplicitamente i suprematisti bianchi
che hanno invaso Charlottesville in realtà parla a questa parte di
America profonda.