venerdì 8 settembre 2017

Repubblica 8.9.17
Sinistra in frenata
Nelle rilevazioni Demos l’aumento più netto è dei grillini La Lega sorpassa Forza Italia. Crescono M5S e Gentiloni rabbia e voglia di stabilità lo strano mix pre-elezioni
Le tre formazioni del centrodestra arrivano al 30%. Il partito centrista di Alfano difende il 2% L’incertezza di tanti elettori deriva a sua volta dai tratti ancora confusi dell’offerta politica
Grillo torna primo, Pd sotto di un punto. Il premier in testa alla classifica del gradimento dei leader in cui si fanno largo Bonino e il ministro Minniti
di Ilvo Diamanti

ORMAI SIAMO in campagna elettorale. Lo rivelano le tensioni “fra” partiti e coalizioni. Ma anche “dentro” alle coalizioni. D’altronde, mancano due mesi alle elezioni regionali in Sicilia. Ma poco più di un mese al referendum sull’autonomia nel Lombardo-Veneto. Il dibattito politico, dunque, si è fatto acceso. E alimenta l’incertezza, come emerge dal sondaggio condotto nei giorni scorsi per l’Atlante Politico di Demos. Pubblicato oggi su Repubblica. Due le principali indicazioni, in apparenza, contrastanti. Perché rivelano insofferenza e, al tempo stesso, domanda di stabilità. Politica.
Da un lato, la crescita sensibile dei consensi del M5S e del suo attuale leader, Luigi Di Maio. Dunque, della principale opposizione. Dall’altro, la fiducia personale verso il premier, Paolo Gentiloni. Elevatissima - e in aumento. Ma analizziamo nel dettaglio queste tendenze.
Sul piano degli orientamenti di voto, rispetto allo scorso giugno, si assiste a una maggiore concentrazione dei consensi intorno ai due principali partiti, PD e M5S. Entrambi si rafforzano, negli ultimi mesi. Soprattutto il M5S, che cresce di circa 2 punti. Oggi, con oltre il 28%, è il primo partito. Più di un punto sopra al PD di Matteo Renzi. Dietro, nel Centro-destra, non cambia molto. La Lega e i Fratelli d’Italia appaiono stabili. Fra 13 e 14%. Ma Forza Italia scivola di oltre un punto. Superata dalla Lega di Matteo Salvini. A sinistra del PD, di scissione in scissione, il panorama appare confuso. Frammentario. Articolo 1-MdP, guidato da Pier Luigi Bersani e Roberto Speranza, perde qualcosa. Ora è poco sotto il 4%. Il Campo Progressista di Giuliano Pisapia si attesta al 2%. Anch’esso in calo. Poco più su, al 2,5%, c’è Sinistra Italiana, insieme alle altre formazioni dell’area. A loro volta in de-crescita.
Fra gli altri, al Centro, AP di Alfano si aggrappa, a fatica, al 2%.
Detto in altri termini: oggi ci troviamo di fronte a un “bipolarismo imperfetto”. Da un lato, il PD e le forze di Centro-sinistra, che, insieme, potrebbero raggiungere il 40%. Dall’altro, il M5S, che trae la propria forza dalle divisioni degli altri. E dalla frustrazione della società. Accentuata dall’insoddisfazione (anti)politica.
Tuttavia, i due principali partiti di Centro-destra, Lega e FI, insieme ai Fd’I, supererebbero il 30%. Sarebbero, dunque, competitivi. Tuttavia, si tratta di una prospettiva complicata. Da dinamiche di leadership. Come segnala l’analisi di Biorcio e Bordignon. Anzitutto perché l’unico soggetto “consolidato” sulla scena politica italiana, oggi, non è un partito, neppure il PD. Né un leader di partito. Ma il premier, Paolo Gentiloni. In aumento costante di consensi “personali”, dal momento dell’investitura. Oggi, prossimo alla maggioranza assoluta (49%). La fiducia nel suo governo appare più limitata, ma è, comunque, (poco) oltre il 40%. Superiore, anche se di poco, rispetto al momento dell’investitura, lo scorso dicembre. Questi dati riassumono l’orientamento “diviso” degli elettori. Insoddisfatti dell’andamento politico – ma anche economico e sociale – del Paese. E quindi sensibili alla critica, espressa ad alta voce, dal M5S. Eppure, al tempo stesso, in cerca di stabilità. Di rassicurazione. Sentimenti ben interpretati – e rappresentati – da Gentiloni. Un leader “impopulista” - come ho scritto altre volte - in tempi di “populismo” intenso e diffuso. Non per caso, nella graduatoria dei leader, dopo di lui, incontriamo Emma Bonino, una leader estranea alla “politique politicienne”. Mentre, a notevole distanza, per grado di fiducia (intorno al 35-37%), si collocano Giorgia Meloni, Matteo Salvini, e Luigi Di Maio (il leader maggiormente in crescita di consensi). Accanto a Matteo Renzi. In lieve ripresa. Tutti, in diversa - e più evidente - misura, “populisti”. Peraltro, ben più comunicativi e appariscenti di Gentiloni. Tutti gli altri leader politici dispongono di un credito più limitato. Pisapia vicino al 30%. Alfano: poco sopra il 20%. Speranza: poco sotto. Fra gli altri, però, si distingue il ministro Marco Minniti. Oggi sotto osservazione critica per l’azione di “contenimento” degli sbarchi. Definito, dai critici, lo “sceriffo”. Ma anche per questo apprezzato. A destra. E non solo.
Il premier, dunque, è molto “stimato” come uomo di governo, e, personalmente, come leader “politico”. Ma non altrettanto come possibile leader di “partito”, o meglio, di coalizione. L’unico possibile candidato premier, secondo gli elettori di Centro- sinistra, risulta, infatti, Matteo Renzi. Senza alternative. Senza discussione. Senza avversari. Mentre nel Centro-destra gli orientamenti sono più distinti e distanti. Silvio Berlusconi non è candidabile (lo ha rammentato nei giorni scorsi Giovanni Toti), ma appare l’unico in grado di raccogliere consensi trasversali fra gli elettori della coalizione (e anche oltre). Matteo Salvini, infatti, è sostenuto da oltre un terzo della base di Centro-destra, ma fatica ad attrarre consensi oltre i confini della Lega. Come, a maggior ragione, Giorgia Meloni all’esterno dei Fd’I.
Luigi Di Maio, infine, appare saldamente in testa alle preferenze degli elettori del M5S. Fra i quali non ha avversari. D’altra parte, guida un non-partito fortemente centralizzato. La sua leadership è “data per scontata”.
Così, ci avviamo al voto di primavera, mentre la campagna elettorale è già iniziata, in un clima di incertezza. Perché è “incerta” la struttura dell’offerta politica. In altri termini: le coalizioni, le alleanze. E le leadership. Di partito. Ma, ancor più, i candidati di coalizione. E i programmi. A sinistra, meglio, a Centro-sinistra, incombe l’ombra delle “larghe intese”, che coinvolgerebbero anche Berlusconi. Per approvare quelle riforme istituzionali ancora ir-realizzate. Ma che hanno segnato la fine del governo Renzi. Berlusconi, dunque, costituisce ancora il riferimento obbligato della prossima fase politica del Paese. Con lui, tanto più senza di lui, sarà difficile procedere. Per il Centro- sinistra. E non solo, ovviamente.
Insomma, la Seconda Repubblica non è ancora finita.