Repubblica 7.9.17
Il gioco dei ricatti
di Andrea Bonanni
SEMPRE
più frammentata, sempre più sotto attacco, l’Europa sta faticosamente e
dolorosamente imparando a rispondere ai ricatti e alle minacce che sono
ormai troppo frequentemente la cifra di chi vuole discutere con
Bruxelles. Ieri la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha respinto il
ricorso presentato da alcuni governi dell’Est contro la redistribuzione
dei richiedenti asilo.
DOPO essersi rivolti ai giudici europei,
Ungheria, Polonia, Cechia e Slovacchia hanno immediatamente respinto la
sentenza, visto che non dava loro soddisfazione. In questo modo il solco
che già da tempo attraversa la Ue si approfondisce ancora di più. Non
solo i governi del gruppo di Visegrad si rifiutano di mostrare
solidarietà sulla questione dei rifugiati. Non solo respingono una
decisione condivisa da tutte le istituzioni comunitarie. Ora
disconoscono anche le sentenze della Corte di Lussemburgo,
contrapponendo apertamente la loro sovranità nazionale a quella europea.
Lo
scontro si alza di livello. Per una volta, però, Bruxelles non si è
fatta intimidire e ha annunciato che chiuderà la procedura di infrazione
mandando i quattro ribelli davanti ai giudici. La Corte di Giustizia,
essendosi di fatto già pronunciata, non potrà che imporre multe
salatissime per ogni giorno di inosservanza della norma sulla
redistribuzione dei rifugiati. Se le multe poi non dovessero bastare, i
Paesi dell’Est Europa rischiano di vedersi tagliati nel prossimo
bilancio i fondi europei che finora hanno finanziato il loro sviluppo
economico. E, se anche questa sanzione non li indurrà alla ragione, si
porrà finalmente il problema della loro permanenza nella Ue, visto che è
impossibile restare in Europa senza riconoscere l’autorità delle sue
istituzioni e il primato del suo diritto.
Ma questa non è l’unica
sfida lanciata a Bruxelles. Dopo aver sopportato forse troppo a lungo le
minacce di Erdogan e il suo attacco alle fondamenta della democrazia in
Turchia, Angela Merkel e Emmanuel Macron cominciano a pensare di
chiudere anche formalmente i negoziati per l’adesione di Ankara alla Ue.
Le trattative, di fatto, languono da anni. Ma una sospensione formale
darebbe concretezza alla condanna per le tentazioni autoritarie di
Erdogan che finora è stata espressa solo a parole. E il despota turco ha
reagito da par suo, accusando di nazismo i governi europei.
Certo,
nella ritrovata durezza della Cancelliera pesa molto la campagna
elettorale che in Germania è arrivata alla sua fase più accesa. Ma è un
fatto che, finalmente, anche su questo fronte l’Europa sembra ritrovare
un po’ di quel coraggio e di quella dignità che aveva
opportunisticamente messo da parte per fermare il flusso dei profughi
siriani attraverso la Turchia. Ma che ne pensano Paesi come la Grecia,
che potrebbe nuovamente trovarsi sommersa di richiedenti asilo, come
accadde due anni fa?
E i ricatti non si esauriscono sul fronte
orientale. Dalla Gran Bretagna piove su Bruxelles la minaccia di una
brusca restrizione del diritto dei cittadini comunitari di stabilirsi in
Gran Bretagna dopo il 2019, quando la Brexit diverrà effettiva.
L’avvertimento è arrivato sotto forma di un presunto “piano” del governo
inglese opportunamente fatto trapelare al Guardian. I negoziati tra
Londra e Bruxelles stanno andando a rilento. La prima fase, che deve
stabilire le condizioni per la separazione, difficilmente potrà
concludersi entro ottobre come previsto. E quindi la seconda fase, che
definirà i nuovi rapporti commerciali e legali tra il Regno Unito e la
Ue, partirà in ritardo. Lo spettro di un mancato accordo entro i due
anni previsti per definire la Brexit si fa sempre più concreto. E il
governo della signora May, chiaramente in difficoltà, comincia a
lanciare minacce neppure troppo velate. Ma, anche in questo caso,
l’Europa non sembra disposta a piegarsi alle pressioni britanniche. E la
fuga di notizie ha avuto come unico risultato di sollevare un’ondata di
proteste in Gran Bretagna, dove l’apporto degli immigrati comunitari è
considerato vitale per sostenere l’economia.
Il quadro delle
frammentazioni europee è completato dalla Catalogna, che sfida la Spagna
convocando un referendum sull’indipendenza vietato dal governo di
Madrid. La mossa, in sé, non è diretta contro l’Europa. Anzi. Ma la
destabilizzazione della Spagna, che con l’Italia, la Germania e la
Francia forma il quartetto di punta della nuova leadership europea,
potrebbe avere gravi conseguenze. Anche su questo fronte, però, la Ue
finora non ha ceduto alle pressioni di Madrid per rintuzzare
l’indipendentismo catalano. In passato, la Commissione di Manuel Barroso
lo aveva fatto. Ora Bruxelles pare orientata a non prendere posizione.
Anche qui, la logica delle minacce, dei ricatti e dei diktat sembra aver
perso la presa che aveva su una Europa che, dopo anni di debolezza, è
alla ricerca di una ritrovata dignità.