Repubblica 7.9.17
Le fratture dell’ Europa
Migranti, Turchia, Catalogna: i “no” che frenano il cammino della Ue
Alberto D’Argenio
BRUXELLES.
La Corte di giustizia europea si pronuncia contro Ungheria e Slovacchia
che chiedevano di bocciare la ripartizione dei richiedenti asilo
sbarcati in Italia e in Grecia. La sentenza dà ragione alla Commissione
di Bruxelles, che ha messo in piedi il sistema dei ricollocamenti, ma
lascia aperta la ferita in seno all’Unione con i paesi del gruppo di
Visegrad contrari a qualsiasi forma di solidarietà sui migranti. Tanto
che la decisione arrivata ieri dai giudici del Lussemburgo apre la porta
al deferimento in Corte di Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, nel
mirino di Bruxelles proprio per non avere accolto nemmeno un rifugiato
violando gli obblighi del programma che prevede la redistribuzione tra
partner europei di 120mila richiedenti asilo ospitati da Roma e Atene.
Ad
oggi sono 27.695 i profughi ricollocati all’interno dell’Unione: 19.244
dalla Grecia e 8.451 dall’Italia. Sono in tutto 28.300 i richiedenti
asilo (siriani ed eritrei) candidabili alla redistribuzione giunti in
Italia nel 2016 e 2017, ma soltanto 11mila sono stati registrati: per
questo la Commissione ha di nuovo sollecitato Roma ad «accelerare».
Mentre
ad agosto gli sbarchi in Italia sono diminuiti dell’81 per cento grazie
al lavoro in partnership con la Libia, il programma di ridistribuzione
scade a fine mese e non sarà esteso: dunque nei prossimi mesi potranno
essere smistati soltanto i richiedenti asilo sbarcati entro il 26
settembre fino all’eventuale, ormai difficile, esaurimento quote.
La
sentenza ha comunque un valore politico forte perché rinforza la base
legale delle riallocazioni e guarda al futuro, alla battaglia dei
prossimi mesi: scaduto il programma di emergenza avviato due anni fa da
Bruxelles, ora si attende la riforma delle regole sull’asilo del sistema
di Dublino all’interno della quale la Commissione ha proposto un
sistema permanente di redistribuzione da far scattare quando le capacità
di accoglienza di un Paese sono sotto stress.
La riforma nelle
prossime settimane sarà spinta dal Parlamento europeo, ma trova il
blocco delle capitali dell’Est. Ma ora la cancelliera tedesca Angela
Merkel si è schierata a favore del progetto e la pronuncia della Corte,
per la quale il programma attuale è obbligatorio anche se non è stato
approvato con un voto all’unanimità dei governi, apre la strada a un
voto a maggioranza pure per la riforma di Dublino: un passo
potenzialmente decisivo. Per questo ieri da Budapest, Varsavia e Praga è
arrivata una raffica di bordate contro Bruxelles (soltanto la
Slovacchia ha annunciato che si conformerà alla sentenza). Il ministro
degli Esteri ungherese, Péter Szijarto, ha definito la decisione della
Corte «politica e non giuridica ». La premier polacca Beata Szydlo ha
fatto sapere che non cambierà posizione, mentre il leader ceco Milos
Zeman ha detto che rinuncerà ai finanziamenti Ue – ritorsione già
minacciata da Roma e Berlino e ribadita ieri dal sottosegretario Sandro
Gozi – piuttosto che prendere i migranti. Lo scontro riprenderà vigore
quando l’Europa si rimetterà in moto, dopo il voto tedesco del 24
settembre con la speranza di chiudere per fine anno.