Repubblica 6.9.17
L’ex presidente ha deciso di scrivere un post su Facebook subito dopo l’annuncio di Sessions. Ecco il testo
Una decisione crudele contraria al nostro spirito e al buon senso
di Barack Obama
QUELLO
dell’immigrazione può essere un tema controverso. Tutti desideriamo dei
confini sicuri e un’economia dinamica, e le persone possono
legittimamente nutrire opinioni discordi su come correggere il nostro
sistema di immigrazione affinché tutti si attengano alle regole.
L’iniziativa presa oggi dalla Casa Bianca però non si basa su questi
presupposti. Stiamo parlando di giovani che sono cresciuti in America:
bambini che studiano nelle nostre scuole, giovani adulti che stanno
muovendo i primi passi nel mondo del lavoro, che giurano fedeltà alla
nostra bandiera. Questi dreamers sono americani nel cuore, nella mente, e
in tutti i modi ad eccezione di uno: sulla carta.
Sono stati
portati in questo Paese dai loro genitori, in alcuni casi quando erano
ancora neonati. Magari non conoscono nessun altro Paese al di fuori del
nostro. Forse non parlano un’altra lingua. Spesso nemmeno sanno di
essere senza permesso sino al momento in cui presentano una domanda di
lavoro, si iscrivono all’università o fanno domanda per prendere la
patente. Nel corso degli anni i politici di entrambi i fronti hanno
lavorato insieme per preparare delle leggi che dicessero a questi
giovani — ai nostri giovani — che nel caso in cui i tuoi genitori ti
abbiano portato qui da bambino e tu abbia trascorso qui un certo numero
di anni, se sei disposto ad andare all’università o ad arruolarti nelle
forze armate hai la possibilità di rimanere qui e guadagnarti la
cittadinanza. Per anni, quando ero presidente, ho chiesto al Congresso
di inviarmi una simile proposta di legge. Quella proposta non è mai
arrivata. E poiché non aveva senso espellere dei giovani di talento e
pieni di entusiasmo dall’unico Paese che conoscevano esclusivamente a
causa dell’operato dei loro genitori, la mia amministrazione si è data
da fare per fugare l’ombra della deportazione che incombeva su questi
giovani, affinché essi potessero continuare a dare il loro contributo
alle nostre comunità e al nostro Paese. Lo abbiamo fatto basandoci sul
principio legale, ben fondato, della discrezionalità dell’accusa, a cui
sia presidenti democratici che repubblicani hanno fatto ricorso, perché
le agenzie che si occupano di mettere in atto le leggi sull’immigrazione
dispongono di risorse limitate, ed è sensato impiegare tali risorse per
coloro che giungono in questo Paese illegalmente per nuocerci. Le
deportazioni dei criminali sono aumentate. Circa ottocentomila giovani
si sono fatti avanti: hanno soddisfatto requisiti stringenti e il
controllo della loro fedina penale. E grazie a questo l’America è
diventata più forte. Oggi quell’ombra è tornata nuovamente a gravare su
alcuni dei migliori e dei più brillanti dei nostri giovani.
Prendere
di mira questi ragazzi è sbagliato, perché essi non hanno fatto nulla
di sbagliato. Equivale ad un autogol, poiché intendono lanciare nuove
attività, lavorare nei nostri laboratori, arruolarsi nel nostro esercito
e contribuire in altri modi al Paese che amiamo. Ed è crudele. Cosa
accadrebbe se l’insegnante di scienze di nostro figlio, o la nostra
gioviale vicina di casa si rivelasse essere una dreamer? Dove dovremmo
spedirla? In un Paese che non conosce o di cui non ha memoria, in cui si
parla una lingua che magari nemmeno conosce?
Sia chiaro:
l’iniziativa che è stata presa oggi non è imposta dalla legge. Si tratta
di una decisione politica e di una questione morale. Quali che siano le
preoccupazioni o le rimostranze che gli americani possono nutrire nei
confronti dell’immigrazione in generale, noi non dovremmo minacciare il
futuro di questo gruppo di giovani che si trovano qui non per colpa
loro, che non rappresentano alcuna minaccia, che non tolgono nulla a
tutti quanti noi. Sono quel lanciatore della squadra di softball di
nostro figlio, quel paramedico che aiuta la sua comunità dopo un
disastro, quel cadetto riservista che non chiede altro che di poter
indossare una divisa del Paese che gli ha offerto un’opportunità.
È
proprio perché questa iniziativa è contraria al nostro spirito e al
buon senso che gli esponenti del mondo del lavoro e della religione, gli
economisti e gli americani di ogni schieramento avevano fatto appello
all’amministrazione affinché non facesse ciò che ha fatto. E adesso che
la Casa Bianca ha trasferito al Congresso la responsabilità che ha nei
confronti di questi giovani, toccherà ai membri del Congresso proteggere
loro e il nostro futuro.
Infine, si tratta di elementare
moralità. Si tratta di vedere se siamo un popolo che caccia dall’America
i giovani che sono determinati a farsi strada. È questione di definire
che popolo siamo — e che popolo vogliamo essere. A renderci americani
non sono le somiglianze, o l’origine del nostro cognome, o il modo in
cui preghiamo. Ciò che fa di noi degli americani è la fedeltà verso un
insieme di ideali: siamo creati uguali; tutti meritiamo la possibilità
di fare della nostra vita ciò che desideriamo; tutti abbiamo il dovere
di farci avanti. È questo ciò che ha permesso all’America di fare così
tanta strada. Ed è così che, continuando su questa strada,
perfezioneremo la nostra Unione.
(Traduzione di Marzia Porta)