mercoledì 6 settembre 2017

Repubblica 6.9.17
Il conflitto in Ucraina
Sul fronte dimenticato d’Europa
di Rosalba Castelletti

YAGHOBZADEH Al confine con la Russia si spara ancora. Gli accordi internazionali non funzionano e i cessate-il-fuoco sono una farsa. Nelle città in guerra, tra miliziani checkpoint e blindati, c’è anche chi prova a vivere una vita quasi normale

MOSCA C’È un conflitto dimenticato nel cuore dell’Europa. Il più sanguinoso dalla guerra nei Balcani negli anni Novanta. Tre anni e mezzo dopo l’inizio del conflitto e un anno e mezzo dopo gli accordi di “Minsk II”, nell’Est dell’Ucraina si continua a combattere. Nelle città lungo la linea del fronte, come Mariinka e Avdiivka, la guerra è sempre presente. I cessate-il-fuoco sono una farsa. I combattimenti sono meno intensi sì, ma si bombarda quasi ogni giorno. Soldati ucraini e separatisti filorussi si accusano a vicenda delle continue violazioni. E si continua a morire.
Nei primi sette mesi dell’anno, 88 civili sono stati uccisi e 280 sono rimasti feriti, secondo le stime dell’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa (Osce). È gente che muore «non su carri armati o veicoli corazzati», ma «nelle proprie case, nei propri letti». «Sono nelle strade e nei loro giardini e sono totalmente esposti a questi rischi. Bisogna riconoscerlo. È per loro che bisogna porre fine», ha commentato Aleksandr Hug, vice capo della missione Osce in Ucraina. «Questo non è un conflitto congelato, questa è una guerra calda, è una crisi immediata che dobbiamo affrontare il più presto possibile», gli ha fatto eco il neo-inviato statunitense per i negoziati di pace in Ucraina Kurt Volker dopo aver visitato la regione del Donbass per la prima volta lo scorso luglio.
Il conflitto in Est Ucraina affonda le radici lontano. Nel 1991 quando, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, l’Ucraina proclamò l’indipendenza. Ne risultò un Paese profondamente diviso tra l’Est che ambiva a restare nell’orbita di Mosca e l’Ovest che cercava di avvicinarsi alla Nato e all’Unione Europea. Le tensioni montano nel novembre 2013 quando il presidente Viktor Janukovych, appoggiato dal Cremlino, rifiuta un accordo per una maggiore integrazione con l’Ue. Inizia la Rivolta di Majdan che nel febbraio 2014 rovescia il governo. La Russia risponde con l’annessione della Crimea. Poco dopo i separatisti filorussi autoproclamano l’indipendenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk. L’Ucraina lancia un’offensiva militare per riconquistare le regioni secessioniste. È l’inizio del conflitto. In settembre Ucraina e Russia e le due repubbliche autoproclamate siglano il Protocollo di Minsk nella capitale bielorussa. Il 12 febbraio 2015, un nuovo tentativo, “Minsk II”. Ma i due accordi «sono sempre stati destinati al fallimento », ha osservato Ian Bond, direttore della Politica estera presso il Centro per le riforme europee. «Primo, la Russia continua a far finta di essere un mediatore piuttosto che una delle parti del conflitto. Secondo, le due parti contestano i termini degli accordi. Il risultato è che non li portano a compimento».
Le foto di Rafael Yaghobzadeh, vincitore del Premio Città di Perpignan, non parlano però degli interessi di Washington, del Cremlino o delle potenze europee. Raccontano una storia diversa. Quella della gente che sopporta le quotidiane sofferenze della guerra. Le sparatorie di giorno e il rimbombo dei mortai la notte, le città deserte, i checkpoint lungo le strade, le interruzioni delle forniture di acqua e corrente elettrica, i muri crivellati, i vetri infranti come le vite di decine di migliaia di persone. Oltre 10mila persone sono morte e tra 2 e 3,5 milioni hanno abbandonato le loro abitazioni. Chi resta è troppo vecchio, fragile, impoverito o testardo per andarsene. Sulla carta non c’è un confine che divida in due l’Ucraina. Nella pratica vi sono decine di posti di frontiera attraversati ogni giorno da chi vive nelle Repubbliche separatiste ma lavora o deve sbrigare pratiche burocratiche nella parte controllata da Kiev. Una “Siria nel cuore dell’Europa”, l’hanno chiamata, ma che il mondo non vuole vedere.