martedì 5 settembre 2017

Repubblica 5.9.17
Malala attacca Aung scontro tra Nobel sul dramma rohingya
“Condanni le violenze”, twitta la giovane pachistana Petizione al comitato norvegese: “Ritiratele il premio”
di Enrico Franceschini

LONDRA. Malala contro Aung San Suu Kyi. Due donne, entrambe asiatiche, ex-dissidenti perseguitate, premi Nobel per la pace: ma ora la 20enne pachistana messa nel mirino dai Taliban critica la leader 72enne del Myanmar, a lungo icona dei difensori dei diritti umani in tutto il mondo. «Sto aspettando che anche San Suu Kyi condanni il tragico e vergognoso trattamento dei Rhoingya», la minoranza etnica musulmana sottoposta a operazioni di “pulizia etnica” da parte dell’esercito birmano, twitta Malala. «Il mondo sta aspettando, i Rhoingya stanno aspettando». Parole pesanti, che contengono un’implicita accusa nei confronti della sua “compagna di Nobel”, come la definisce su Twitter.
Non è l’unico attacco che San Suu Kyi ha ricevuto in questi giorni per un silenzio che suona come un avallo delle violenze contro i Rhoingya. Una lettera aperta online al comitato norvegese del Nobel che chiede di toglierle il premio per la pace ha raccolto rapidamente più di 11 mila firme. Già nell’autunno scorso era circolata una petizione di Nobel per la pace, su iniziativa di Desmond Tutu e Jodi Williams, per esortarla a mettere fine alla repressione nei confronti della minoranza islamica birmana. Per la prima volta, anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nel Myanmar, Yanghee Lee, ha criticato la leader de facto del Paese, sottolineando che, di fronte alla gravità della situazione, Aung dovrebbe prendere posizione. E il ministro degli Esteri britannico Boris Johnson, pur ribadendo pieno sostegno all’impegno democratico di San Suu Kyi, ammonisce che le persecuzioni contro i Rhoingya rischiano di «rovinare la reputazione del Myanmar».
L’intervento di Malala rilancia quei segnali di allarme, gettando un’ombra su colei che fino a poco tempo fa è stata percepita come un’eroina dei diritti umani. «Negli ultimi anni ho ripetutamente condannato il tragico e vergognoso trattamento dei Rhoingya», afferma la giovane pachistana. «Sto ancora aspettando che la mia compagna di Nobel per la pace Aung San Suu Kyi faccia altrettanto. Fermate le violenze. Abbiamo visto immagini di bambini uccisi dalle forze di sicurezza del Myanmar. Questi bambini non hanno fatto del male a nessuno, eppure le loro case vengono bruciate. Se la loro casa non è la Birmania, in cui hanno vissuto per generazioni, dov’è?».
Oltre 400 persone Rhoingya hanno perso la vita nei recenti disordini e 70 mila profughi sono fuggiti in Bangladesh. Varie organizzazioni per i diritti civili hanno accusato i militari birmani di crimini contro l’umanità per l’operazione. Dopo una lunga prigionia nel proprio paese, dove era agli arresti domiciliari, San Suu Kyi è riuscita a convincere la giunta militare che governava il Myanmar a permettere elezioni libere, le ha vinte con il suo partito, è diventata ministro degli Esteri e di altri dicasteri, quindi Consigliere di Stato, una sorta di primo ministro. Un lungo viaggio dai giorni in cui studiava Politica, Filosofia ed Economia all’università di Oxford – altra coincidenza: lo stesso corso a cui è stata ora accettata Malala, a cui molti predicono che – come San Suu Kyi – un giorno diventerà primo ministro del proprio paese. Ma adesso le loro strade divergono e le due donne Nobel per la pace si ritrovano una contro l’altra.