Repubblica 5.9.17
Restituite ai professori la dignità perduta
di Michele Ainis
DOPOTUTTO
è l’uovo di Colombo. La scuola italiana non funziona, l’università
boccheggia? Soluzione: aboliamo gli studenti. Da qui il divieto
d’iscrizione alle elementari per chi non sia in regola con le
vaccinazioni, da qui il numero chiuso nei corsi di laurea troppo
frequentati. E i sopravvissuti alla decimazione? Li accompagniamo al
diploma senza trattenerli un minuto in più del necessario, anche se
indossano un bel paio d’orecchie d’asino. Da qui la promozione per
decreto (con la Buona scuola, per bocciare serve l’unanimità dei
professori), da qui l’idea della ministra Fedeli d’accorciare la durata
delle medie e delle superiori. Benché poi la medesima ministra progetti
d’allungare l’obbligo scolastico (da 16 a 18 anni), incurante della
contraddizione.
Insomma, l’anno scolastico comincia così: poche
idee, ma confuse. Un pasticcio generale, che ovviamente genera un
bisticcio universale.
TANTO che gli atenei italiani s’accingono a
celebrare il primo sciopero dei prof dal lontano 1973, con 5.444
adesioni. Mentre sul numero chiuso piovono ricorsi, appelli al Tar,
contrappelli al Consiglio di Stato. Quanto ai vaccini, giusto decretarne
l’obbligo; ma sicuro che dirigenti e segreterie scolastiche debbano
fare da gendarmi? Il loro lavoro è già fin troppo appesantito da chili
di scartoffie per reggere ulteriori adempimenti burocratici, che
spetterebbero semmai alle Asl. E oltretutto, se il pericolo consiste nel
contagio, non basta chiudere le scuole per i non vaccinati: dovremmo
vietargli altresì l’accesso agli autobus, ai cinema, agli stadi, a
qualsiasi altro luogo affollato. Una misura draconiana, che infatti non è
stata proposta da nessuno; ma nella scuola sì, la scuola italiana è la
casa di Dracone.
Però questo legislatore intransigente si rivela
al contempo uno spirito incoerente, ondivago come un’altalena,
capriccioso non meno d’un fanciullo. Ne è prova la querelle sul numero
chiuso: da un lato, la legge sul diritto allo studio (n. 264 del 1999)
esclude le facoltà umanistiche dagli accessi regolamentati; dall’altro,
un decreto ministeriale (n. 987 del 2016) vieta l’accreditamento dei
corsi di laurea privi d’un numero minimo di docenti, senza distinguere
tra facoltà scientifiche e umanistiche. Più che una regola, un rebus; e
infatti gli uffici del ministero stanno studiando le proprie stesse
norme, per capirci qualcosa. Non sarà facile, dal momento che l’esame di
maturità — per dirne una — in Italia viene disciplinato da 59 atti
normativi. Merito e vanto d’una schiera di ministri ciascuno alfiere
della Grande Riforma della Scuola, la più ambiziosa, la più definitiva,
benché scalzata il giorno dopo dalla riforma della legge di riforma.
Nel
frattempo l’anno scolastico esordisce con 100mila supplenze, a dispetto
di chi aveva promesso d’azzerare il precariato. Mancano insegnanti
nelle medie e nei licei, soprattutto per la matematica e il sostegno.
Mancano pure all’università, dove il blocco del turnover ha lasciato in
circolo un corpo docente incanutito e sfiduciato, con il 20% di
professori in meno negli ultimi 8 anni. Sicché il lavoro aumenta, la
paga è in decremento. Nella scuola gli stipendi sono fermi ormai da 9
anni (va peggio solo in Slovacchia e in Grecia). Negli atenei il blocco
stipendiale del 2010 è stato prorogato d’anno in anno, mentre gli altri
dipendenti pubblici ne venivano affrancati; dopo di che lo sblocco (nel
2016), ma senza gli arretrati, a differenza delle altre categorie. Una
discriminazione odiosa, ma in realtà è tutta l’istruzione pubblica a
venire discriminata dai governi. Per forza: su questo fronte spendiamo
appena il 4% del Pil, classificandoci al 25° posto su 28 Paesi europei. E
quanto alla ricerca va anche peggio, dato che la Germania investe più
del doppio (2,92% contro il nostro 1,27%), la Svezia il triplo (3,41%).
Da
qui una prece, a mani giunte e con la testa china: restituite ai
docenti italiani la propria dignità perduta. Senza sbattere la porta sul
muso agli studenti, dato che la scuola dev’essere inclusiva, «aperta a
tutti », come dice la Costituzione. E senza strangolare l’istruzione con
leggi cervellotiche, armate l’una contro l’altra. In sintesi: meno
riforme, più quattrini.