il manifesto 5.9.17
Io temo la «democrazia» di Marco Minniti
Immigrazione.
«Aiutiamoli (a crepare) a casa loro»: perfetta unità sulla questione
profughi e migranti delle tre forze che si contendono il controllo
politico del paese, Pd, destra e 5stelle
di Guido Viale
Condivido i timori del ministro Minniti per «la tenuta democratica del paese»; è
ora di prenderne atto. Solo che a creare questa drammatica situazione
hanno contribuito in modo sostanziale lo stesso ministro, la sua
politica, il suo partito e il governo di cui fa parte.
La tenuta democratica del paese, già messa in forse da un parlamento di nominati,
eletto con una legge incostituzionale, che ha legiferato illegalmente
per quattro anni, mettendo le mani anche sulla Costituzione, è ormai al
tracollo. Perché sulla questione profughi e migranti, su cui si decide
il futuro dell’Italia, dell’Europa e del poco che ancora resta della
democrazia, le tre forze che si contenderanno il controllo politico del
paese- la destra, i 5stelle e il Pd – hanno raggiunto una perfetta
unità: «aiutiamoli (a crepare) a casa loro»; respingiamoli a ogni costo.
Non c’è scelta. Poco importa se le destre lo proclamano con slogan
razzisti e anche fascisti che i 5stelle ripetono da pappagalli mentre il
Pd fa, ma sempre meno, ipocrita professione di spirito umanitario. In
vista delle elezioni, e senza guardare oltre, Minniti vuole dimostrare
che quello che destre e 5stelle propongono lui sa realizzarlo. E in
parte ci riesce, incurante della catastrofe che sta contribuendo a
mettere in moto.
FERMARE GLI SBARCHI pagando e rivestendo con una
divisa scafisti e trafficanti – fino a ieri indicati come “il nemico”,
in combutta con le Ong – perché blocchino in mare, riportino a terra o
imprigionino nel deserto profughi e migranti non è buona politica.
Sappiamo che cosa fanno di quegli esseri umani intrappolati in Libia o
ai suoi confini meridionali: le violentano, li fanno schiavi, li
affamano, li imprigionano in condizioni igieniche inimmaginabili, li
uccidono, li torturano per estorcere ai loro parenti altro denaro, li
trattengono in veri Lager – pagati con fondi europei – e prima o dopo li
imbarcheranno di nuovo verso l’Europa. O minacceranno di farlo come
faceva Gheddafi, o come farà dopo le elezioni tedesche anche Erdogan,
per strappare all’Unione europea altro denaro e nuove legittimazioni: a
Erdogan ormai viene permesso tutto. Così, dall’Ucraina in mano a una
milizia nazista, ai «moderati» che combattono Assad in nome della jihad,
dai janjaweed che fermano in Sudan i profughi eritrei alla guardia
costiera e ai «sindaci» libici incaricati di bloccare i flussi verso il
Mediterraneo, l’Europa si circonda, armandole fino ai denti, di milizie
usate come ascari, ma che non conosce, non controlla, e che sono sicura
garanzia del mantenimento di un perpetuo stato di guerra in tutte le
regioni ai suoi confini, aumentandone degrado e la produzione di nuovi
profughi.
NON C’È ARGINE a questa deriva. Le forze politiche
italiane, come i governi dell’Unione europea e i partiti che li
sostengono, Syriza compresa, hanno rotto la diga della solidarietà,
lasciando campo libero a una ferocia covata a lungo sottotraccia, che
ora riemerge come razzismo che si sente legittimato dalle politiche dei
governi. A queste politiche non c’è per ora alternativa. A contrastarle
ci sono solo le migliaia e migliaia di iniziative impegnate in tutta
Europa nell’accoglienza, i milioni di individui che ne condividono lo
spirito, le moltissime associazioni che cercano di mantener viva la
solidarietà. Ma non sono unite da un programma comune e non è chiaro, al
di là degli sforzi per non sopprimere in sé e negli altri uno spirito
di umanità, che cosa si possa fare contro questa offensiva.
MA LA
RISPOSTA non può più attendere. Invece di puntare lo sguardo su profughi
e migranti, spaventare e spaventarsi per il loro numero – molti meno
dei «migranti economici» che diversi paesi europei, Italia compresa,
avevano accolto o regolarizzato ogni anno prima del 2008; e soprattutto
meno delle nuove leve di cittadini e cittadine che verranno a mancare
tra la popolazione europea di qui in poi – bisogna guardare a chi da
quegli arrivi si sente minacciato. Se profughi e migranti sono
considerati dai governi un peso e non una risorsa da valorizzare non c’è
da stupirsi se molti passano alle vie di fatto per liberarsene con le
spicce. E se casa e lavoro decenti (e scuola, e assistenza sanitaria, e
pensione) sono un miraggio per un numero crescente di europei, la
presenza – e non solo l’arrivo – di poche o tante persone tenute in
inattività forzata, spesso in cattività, ed esibite come un carico
inaccettabile a chi gli abita accanto non può che moltiplicare e acuire
quell’ostilità di cui governi nazionali e locali sono i primi a far
mostra. Non c’è argine agli arrivi o imposizione di rimpatri che possa
invertire questa situazione.
MA LE CASE per tutti ci sono, solo
che sono in gran parte vuote. Il lavoro per tutti, cittadini, profughi e
migranti, c’è: è quello necessario alla riconversione energetica a cui
tutti i governi si sono impegnati a Parigi e a cui nessuno ha ancora
messo mano. Il denaro per finanziarla c’è: Draghi continua a tirare
fuori dal cappello centinaia di miliardi che finiscono in tasca alle
banche.
Quello che manca è la politica per mettere insieme queste
tre cose. Invece ci si è rivolti all’Europa per farle condividere una
militarizzazione di stampo coloniale di confini sempre più ampi e
lontani. Ma il «piano Marshall» da esigere, e rispetto a cui mobilitare
non tanto governi e partiti, quanto la vera opposizione sociale ai
programmi di contenimento e di respingimento, è un grande investimento,
capillare e articolato, sulla riconversione ecologica.
NON SIAMO
né finiremo «sommersi». Molti dei profughi arrivati negli ultimi anni – e
sicuramente quelli provenienti da zone di guerra o di conflitto armato –
torneranno nei loro paesi se e appena sarà possibile. E se altri ne
arriveranno, quello che occorre sono politiche di sostegno alle loro
esigenze immediate – a partire dai corridoi di ingresso – e di
promozione della loro capacità di organizzarsi: per progettare, anche
grazie ai legami che hanno con le loro comunità di origine, delle
alternative pratiche alla rapina dei loro territori e ai conflitti che
li hanno costretti a fuggire.
È con loro che vanno fatti i
progetti di cooperazione e anche i negoziati per restaurare la pace,
dando spazio a queste forze e tenendo il più possibile lontani dai loro
paesi multinazionali e mercanti di armi. Invece di deportazioni
mascherate da rimpatri con cui i governi europei cercano di tacitare
quel rancore degli elettori che essi stessi alimentano si innesterebbe
così una libera circolazione delle persone da e verso i loro paesi di
origine; a beneficio di tutti.