martedì 5 settembre 2017

Corriere 5.9.17
Una fase nuova che rafforza «il partito del governo»
di Massimo Franco

L’unico partito che sembra essersi rafforzato durante l’estate è quello del governo. Non inteso come Pd, né come Nuovo centrodestra, alle prese come le altre forze politiche con seri problemi di identità e di alleanze. Si tratta di un «partito» blindato dalla sua inevitabilità; sempre più consapevole di non avere alternative; sostenuto da una maggioranza ma emancipato da strette logiche di appartenenza; e saldamente agganciato alla Commissione europea e a una strategia dei piccoli passi e di alcuni obiettivi che lo proietta verso le urne del 2018, e forse anche oltre.
Fino a luglio era come mimetizzato, per difendersi dalle tentazioni residue di un voto anticipato. Ma al convegno di Cernobbio è emerso come una realtà che ha preso fiducia in sé. Sente di avere dietro un’ Italia alla ricerca di sicurezza, più che di traumi. È aiutato oggettivamente da una crisi economica che comincia gradualmente a rientrare. Può contare su un’Europa che sta arginando le pulsioni dell’estremismo populista. E si avvia alla manovra finanziaria con un contorno politico passato dai proclami sul referendum contro l’euro a una prudenza che, per quanto strumentale, segna una svolta: perfino nelle file del Movimento 5 Stelle e della Lega Nord.
Nello stesso Pd emergono toni più moderati. È come se tutti si fossero silenziosamente adattati alle logiche del «partito del governo»; o si candidassero a farlo. Significa la presa d’atto che la strategia della collaborazione con Bruxelles, della riduzione del debito pubblico, del controllo dell’immigrazione, sono temi strutturali: nel senso che se li ritroverà qualunque governo dovesse riemergere dalle urne del 2018. Nessuno si illude che in campagna elettorale i toni rimarranno bassi.
Ma la sensazione è che, in assenza di un accordo sulla riforma del sistema elettorale, nessuno avrà i voti per governare da solo: lo scetticismo dei Dem e del M5S è rivelatore. Dunque, sarà necessario proseguire su uno schema di compromesso, senza protagonismi né forzature. Il vertice del Pd si è convinto, o rassegnato, che l’esecutivo di Paolo Gentiloni è quanto di meglio sia in grado di offrire oggi. Tenerlo sulla corda o contestarlo alla vigilia della manovra finanziaria e delle elezioni del 5 novembre in Sicilia, appuntamenti entrambi rischiosi, sarebbe suicida.
Il centrodestra è riuscito a raggiungere un accordo sul candidato alla presidenza della Regione; la sinistra lo sta trovando per scacciare l’ombra di una possibile sconfitta. La richiesta del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, a moderare richieste di spesa giustificabili solo in un’ottica elettorale, è rivolto in primo luogo alla sua maggioranza. Gli avversari sperano che Palazzo Chigi stia entrando in un periodo convulso, tra debito pubblico e richieste «di sinistra» del Pd. Eppure, tutti sanno di trovarsi in una fase diversa: anche le opposizioni.