Repubblica 4.9.17
Ragazzi, non tornate
di Ilvo Diamanti
I GIOVANI, in Italia, sono un’emergenza grave. Che non accenna a diminuire.
L’ha
riconosciuto, con realismo e onestà, il premier, Paolo Gentiloni, al
tradizionale Forum Ambrosetti di Cernobbio. D’altronde, i dati più
recenti dell’Istat rilevano che la disoccupazione giovanile è oltre il
33%. Secondo talune stime, anche più elevata. Insomma, oltre 1 giovane
su 3 è senza lavoro.
SECONDO i dati Eurostat: il doppio rispetto
alla zona Euro. Solo la Grecia e la Spagna starebbero peggio di noi.
Naturalmente, occorre aggiungere che i giovani, in Italia, sono ormai
una specie rara, in via di estinzione. Ma questa constatazione a me
suscita pena ulteriore. Che ha origini lontane e misure crescenti. È,
infatti, dagli anni 70 che siamo in declino demografico. Ma, negli
ultimi anni, il declino è divenuto un crollo. Perché si associa
all’invecchiamento della popolazione. Gli italiani, infatti, invecchiano
e non fanno più figli. Perfino gli stranieri, quando si stabilizzano,
smettono di “riprodursi”. Ma la popolazione italiana invecchia anche
perché i giovani, appena possono, se ne vanno. Verso Nord. Come gli
immigrati che, secondo la retorica della paura, ci “invadono”. I nostri
giovani, invece, “evadono”. Per ragioni, ovviamente, diverse. Circa 2
italiani su 3, infatti, come abbiamo scritto altre volte (commentando le
indagini di Demos- Coop), sostengono che “per i giovani che vogliano
fare carriera, l’unica speranza è andarsene”. Fuori dall’Italia. Ed è
ciò che fanno, ormai da anni. In generale, emigrano dall’Italia oltre
100 mila italiani, ogni anno. Per capirci, negli anni 90 il flusso
annuale era intorno a 30 mila. A differenza del passato, però, oggi non
se ne va la “forza lavoro”. Se ne vanno i giovani. Soprattutto i più
istruiti. I più qualificati. Circa 3 su 4, in possesso di un titolo di
studio. Secondo il Censis, quasi 9 su 10 di essi sono laureati. Si
dirigono prevalentemente in Europa. Soprattutto in Germania e nel Regno
Unito. Ma anche in Francia, Austria, Svizzera. Insomma: altrove. Perché
“altrove” trovano occasioni di impiego migliori rispetto a qui. Carolina
Brandi, ricercatrice Irpps-Cnr, al proposito, parla di brain drain,
drenaggio dei cervelli, causato da una evidente condizione di
overeducation. Sottoccupazione. Così i nostri “dottori”, dopo essersi
“formati” in Italia, se ne vanno a fare ricerca altrove. Dove trovano
opportunità e soluzioni. Migliori e più adeguate. In altri termini: sono
richiesti da più soggetti scientifici, da più istituzioni, da più
imprese. D’altronde, in Italia (dati Eurostat) l’investimento e la
produzione del sistema formativo restano limitati. Il nostro Paese,
infatti, si colloca all’ultimo posto in Europa per il numero di persone
che hanno concluso un percorso di istruzione terziaria (24,9%), mentre
la media Ue è del 38,5%. Sotto la media Ue (17,6%) risulta anche il
numero di laureati in ingegneria e discipline scientifiche (12,5%).
Infatti, se, negli ultimi anni, la spesa pubblica in Italia ha
continuato a crescere, gli investimenti in ricerca, università e scuola
sono, invece, diminuiti. Più in generale, come ha sostenuto ieri
Ferdinando Giugliano su queste pagine, «il principale aumento delle
disuguaglianze, in Italia, negli ultimi vent’anni, è stato quello fra
giovani e anziani». Non per caso. Metà degli iscritti ai sindacati
confederali, infatti, sono pensionati. Mentre la maggioranza degli
elettori dei partiti di governo (in particolare di centro- sinistra) è
composta da persone anziane. Comunque, (molto) adulte. È difficile
immaginare che le politiche sociali possano privilegiare i giovani
piuttosto che gli anziani. Tutelare i nuovi lavori e lavoratori
piuttosto che i pensionati. E i lavoratori già occupati. Che ambiscono
(comprensibilmente) ad andare in pensione prima. Mentre, secondo oltre 8
italiani su 10 (Demos-Coop, aprile 2017), “i giovani d’oggi avranno
pensioni con cui sarà difficile vivere”.
Tuttavia, il sistema
scolastico superiore e le Università, in Italia, dispongono di un
credito molto elevato, fra i cittadini e gli studenti. Ma anche presso
le istituzioni europee. I dati dell’Ocse, infatti, rilevano che la
scuola italiana è ancora uno strumento di rimozione degli “ostacoli di
ordine economico e sociale”. Per altro verso, i nostri laureati e i
nostri ricercatori trovano spazio e vengono valorizzati, altrove. Mentre
in Italia si devono rassegnare a condizioni di sotto- occupazione. Con
prevedibili e inevitabili conseguenze di de-qualificazione. Così, per
noi si tratta di una perdita “economica”. Di un investimento
in-utilizzato. Peggio: sfruttato da altri Paesi. Perché, come osserva la
Fondazione Migrantes, “la mobilità è una risorsa, ma diventa dannosa se
è a senso unico”. Come avviene in Italia. Che forma ed “esporta” molti
talenti. Ma non è capace di attrarne altri, da altri Paesi. Peggio, non è
neppure in grado di fare rientrare i propri. Se, un tempo, gli italiani
che partivano pensavano — e sognavano — di tornare, oggi avviene
raramente. Le figure più qualificate, i nostri “dottori”: partono e non
ritornano. Perché, per loro, avrebbe poco senso, tornare in Italia. Non
troverebbero spazi e occupazione. Adeguati. Certo, mantengono forti
legami con l’Italia. In particolare, stretti e frequenti rapporti con le
famiglie di origine. Le quali costituiscono, per loro, riferimenti
certi. Essenziali, quando si affrontano percorsi e destini incerti. In
tempi incerti.
Per queste ragioni, i nostri giovani continuano a
partire, sempre più numerosi. I nostri (miei) figli, i nostri (miei)
studenti. E per queste ragioni è forte la tentazione, da parte mia, di
rivolgere loro un invito neppure troppo provocatorio. Ragazzi: non
tornate. Restate altrove. Fuori dal nostro, vostro Paese. Almeno fino a
quando il nostro, vostro, Paese non si accorgerà di voi. E deciderà di
investire sui giovani invece che sugli anziani. Sulla scuola. Sui nuovi
lavori. Invece che sulle rendite, sulle pensioni, sui privilegi. Ma
finché questo Paese che invecchia continuerà ad aggrapparsi al presente —
e al passato. Incapace di guardare al futuro. Al destino dei — propri —
giovani. Almeno fino ad allora: ragazzi, non tornate!