Corriere 4.9.17
Nella trappola di Tucidide
di Paolo Valentino
La trappola nordcoreana blocca Cina e Usa. Ma uscirne è possibile.
Come
da manuale delle provocazioni strategiche, ieri il regime nordcoreano
ha letteralmente causato un terremoto nella penisola asiatica,
conducendo il più potente test nucleare della sua Storia. Ancora una
volta Kim Jong-un spiazza i suoi avversari con una escalation graduale e
soprattutto massimizza l’impatto politico, scegliendo per i suoi
esperimenti da Dottor Stranamore un altro giorno di festa molto
simbolico per l’America: dopo il test del missile balistico
intercontinentale del 4 di luglio, giorno dell’Indipendenza,
l’esplosione di ieri ha coinciso con il weekend del Labor Day, la festa
che segna la fine della pausa estiva e il ritorno al lavoro dell’intera
nazione.
Se c’era bisogno di una prova che non siamo di fronte a
un pazzo, ma a un megalomane che tuttavia calcola e sfrutta con abilità
la sua rendita di posizione geostrategica, la bomba della domenica
(all’idrogeno o meno ha un’importanza relativa) l’ha fornita al di là di
ogni ragionevole dubbio. Grazie agli errori accumulati in trent’anni
dagli Stati Uniti e dalla comunità internazionale, sempre oscillanti tra
condanna e procrastinazione, l’uomo nero di Pyongyang, ultimo e forse
più crudele erede di una dinastia di satrapi, è ormai a un passo
dall’acquisizione di una piena e completa capacità atomica militare, che
lo metterebbe in grado di colpire il territorio degli Stati Uniti.
Di
più, come ha ammonito di recente Henry Kissinger, la sfida posta da Kim
va ben oltre la minaccia all’America. Essa attiene anche alla
prospettiva di caos nucleare che una Corea radioattiva potrebbe
precipitare nell’intera regione. Paesi come Giappone, Corea del Sud,
Vietnam, Australia verrebbero probabilmente spinti a dotarsi anche loro
di armi atomiche. Ecco perché quella che va in scena nel teatro asiatico
è la prima, vera crisi globale con cui si misura l’Amministrazione
Trump. Ma è anche la prima crisi in cui la retorica al testosterone del
nuovo presidente tocca con mano i limiti della proiezione strategica
americana. A dispetto dei suoi proclami, l’opzione militare contro il
regime di Kim appare oggi preclusa a Trump, sconsigliata perfino dai
militari che la considerano, James Mattis dixit, «catastrofica».
La
ragione di questo vincolo è il convitato (per ora) di pietra
dell’intera partita, la Superpotenza cinese, fattore ineludibile della
nuova equazione globale. Esasperata non meno degli americani dai fuochi
d’artificio radioattivi di Kim, Pechino non vuole e non può abbandonare
il suo protegé. Trattiene la rabbia per essersi vista rovinare la festa
del vertice dei Brics. Ne subisce perfino le velate minacce, come ci
racconta oggi il nostro Guido Santevecchi. Aderisce all’embargo sul
carbone, ma non taglia le forniture di petrolio come chiedono gli Usa.
Cerca di convincere il leader coreano a negoziare, ma senza crederci
troppo. Soprattutto, la Cina non avallerebbe mai un’azione militare,
temendo un crollo del regime che porterebbe ai suoi confini o il caos o
ancora peggio dal suo punto di vista un’eventuale riunificazione della
penisola sotto insegne americane.
Al fondo, c’è la profonda
sfiducia di Xi Jinping verso Trump e la potenza americana. A dispetto
dell’interdipendenza delle loro economie, il leader cinese è infatti
convinto che gli Usa vogliano bloccare l’ascesa mondiale del suo Paese.
In questo senso la crisi nordcoreana altro non è che un derivato del
conflitto tra Cina e Stati Uniti, sempre a rischio di cadere in quella
che Graham Allison ha definito la «trappola di Tucidide», l’inevitabile
scontro al quale due potenze, una in crescita l’altra affermata, sono
condannate nella lotta per l’egemonia globale, proprio come Sparta e
Atene.
Eppure, e torniamo alla saggezza di Kissinger, «un accordo
tra Washington e Pechino è il prerequisito essenziale per la
denuclearizzazione della Corea del Nord». Un grand bargain , sostenuto
da un’offerta di cooperazione al regime di Kim e dall’intesa ferrea che
non ci saranno rovesci di alleanze politiche. Uno scenario nel quale
anche la Russia e la fin qui latitante Europa potrebbero svolgere un
ruolo prezioso. Anche se questo Kissinger non lo dice.