Repubblica 3.9.17
Il senso comune intende la parola “utopia” come qualcosa di irrealizzabile
Ma in realtà questa idea ha fatto parte della nostra storia non come fantasia ma come qualcosa di possibile
di Massimo Cacciari
Che
il senso comune intenda “utopia” come sinonimo di fantasia o vano
desiderio rivela tutta la sua attuale miseria, la nostra impotenza a
concepire un qualsiasi fine che appena si discosti dalla domanda di
individuale benessere. Lo “spirito di utopia” ha agitato tutta la nostra
storia: non non-luogo, come invece si continua a ripetere, ma luogo
realmente possibile nel senso che noi, il soggetto della storia, siamo
chiamati a renderlo possibile.
Un’etica dell’assoluto dovere è
quella di utopia, nient’affatto contraddittoria con quella del potere.
Tuttavia, è l’“ Io Devo” che in essa risulta prioritario; è il dovere a
condurre il potere: il soggetto deve con ogni mezzo perseguire quella
potenza che gli permetta di compiere ciò che deve. E ciò che deve è il
suo intelletto a definirlo: la ragione elabora un paradigma della
società e dello Stato in cui si potranno realizzare condizioni di vita
buona ( eu- topia) che sembrano essere relegate alla mera impossibilità
dai regimi politici vigenti. La primissima di queste condizioni riguarda
lo sviluppo dell’intelligenza stessa, la diffusione universale delle
sue conquiste. L’intelletto generale non deve subire freni ed essere al
servizio della universale felicità. Tutti gli altri aspetti della forma
dell’utopia sono accessori di questo suo ultimo fine.
Ce ne siamo
disincantati per sempre? Può darsi; ed ecco allora l’utopia farsi
dis-topia. Il luogo che ci attende viene immaginato come un’apocalisse
senza Giorno del Signore, oppure — ciò che tutti sembrano sperare —
nulla ci attende, nessun fine, soltanto il cattivo infinito del
procedere avanti, giorno dopo giorno. Un progresso senza nemmeno quel
vago ricordo della forma dell’utopia, che ai suoi inizi pure l’ideologia
progressista conservava. Ma sradicata da cuore e mente ogni idea di
felicità e ogni paradigma di “vita buona”, è del tutto “logico” che
neppure l’infelicità e la sofferenza si sappia più riconoscere e
tantomeno soccorrere.
L’autore è filosofo e politico. Con Paolo Prodi ha scritto “ Occidente senza utopie” (Il Mulino)