Il Sole Domenica 3.9.17
Spinoza
Gli ultimi barbari educati dai talk show
L’odio degli indignati da fake news
In politica (e non solo) ci si serve di notizie false per delegittimare moralmente gli avversari evitando di ragionare
di Marco Santambrogio
Secondo
Spinoza, è compito della democrazia «contenere gli uomini per quanto è
possibile entro i limiti della ragione, affinché vivano nella concordia e
nella pace». Acuto come sempre, Spinoza vede un nesso strettissimo tra
democrazia, ragione e pace. Invece, è una tecnica collaudata degli
autocrati quella di soffiare sul fuoco delle passioni - soprattutto
passioni negative come odio, paura e indignazione. Niente di meglio di
una guerra contro un nemico esterno o interno per salvare un trono.
Dopo
l’odio nazionalistico e razziale del Novecento, l’indignazione è oggi
la passione più diffusa in politica, non solo in Italia. In Spagna ha
dato nome a un intero movimento. Come mai? È semplice. Noi non ci
indigniamo per un torto o un’ingiustizia qualunque. Immaginate che
Arsenio Lupin, ladro gentiluomo, vi rubi i gioielli dalla cassaforte. È
ingiusto e potete protestare, dispiacervi, arrabbiarvi. Ma sarebbe
inappropriato indignarsi. Lupin è un ladro dichiarato, non c’è malafede
da parte sua.
Infatti l’indignazione presuppone sempre una
particolare forma di disonestà: la malafede. Ci indigniamo solo con chi
commette scientemente un’ingiustizia e fa finta di agire per alti
ideali. A questo punto ci sentiamo in diritto di fargli qualsiasi cosa. A
bandito, bandito e mezzo - come si suol dire. Per questo l’indignazione
è così utile in politica: squalifica gli avversari e abbassa il livello
dell’autocontrollo.
Ci sono diversi modi per scatenare
l’indignazione contro gli avversari politici. In Numero zero, Umberto
Eco ne ha illustrati alcuni, ma si tratta di metodi d’altri tempi, che
cercavano di salvare le apparenze e si avventavano su avversari che
avevano un nome e un cognome. Da allora si sono fatti grandi progressi.
Oggi c’è gente che diffonde spudoratamente, non so se attraverso
Youtube, Facebook, Twitter o Instagram, la notizia che i vaccini sono
pericolosi («Sono fatti con plutonio, zinco, polifosfati!») e raccoglie
mezzo milione di visualizzazioni. Altri scrivono che gli «immigrati»
hanno festeggiato la strage di Manchester in un bar di Pioltello.
Queste
sono fake news: notizie false diffuse allo scopo di scatenare odio,
paura e indignazione. Chi le diffonde non ha bisogno di fare nomi e
cognomi dei presunti colpevoli perché chi le legge pensa di sapere già a
chi attribuire la responsabilità di tali nefandezze. (Chi ha messo il
plutonio nei vaccini? Per la destra sarà stato il PD, per la sinistra,
Renzi.) Si evita il reato di calunnia o di procurato allarme e intanto
l’indignazione cresce. Tanto più si eccitano le passioni, tanto più si
abbassano le difese della ragione e si riduce il prezioso capitale della
fiducia nei concittadini e nelle istituzioni. Dovremmo introdurre
regole più severe per contenere le fake news sul web? Beppe Severgnini
pensa che il diritto penale sia stato preveggente e gli strumenti
giuridici esistano già ma manchi la volontà di procedere, perché
continuiamo a «considerare il web una sorta di Grande Stadio dove tutto è
permesso».
A me sembra ottimistico. La volontà di procedere è
mancata anche quando fake news e post-verità circolavano liberamente nei
programmi di discussione politica in tv. Circolano ancora. Se Spinoza
vedesse quei programmi resterebbe inorridito. Altro che «contenere gli
uomini per quanto è possibile entro i limiti della ragione». C’è poco di
razionale in quelle discussioni. Non sono ammessi ragionamenti che
durino più di venti secondi. È invece consentito gettare il sospetto di
malafede sugli avversari per suscitare l’indignazione degli spettatori.
Quali
sono invece le regole della discussione razionale? Un bellissimo libro,
il Robert’s Rules of Order, lo spiega anche a chi non ha mai letto
Spinoza. Henry Roberts era un ingegnere dell’esercito degli Stati Uniti
che un giorno si trovò a presiedere l’assemblea di una chiesa battista e
restò molto insoddisfatto del modo in cui si era comportato. Decise che
prima di farlo di nuovo avrebbe studiato a fondo le procedure
parlamentari. Per fare cosa utile a tutti coloro che si trovano a
partecipare a assemblee, consigli o comitati, decise di scrivere un
breve manuale sull’argomento.
Oggi il Pocket Manual of Rules of
Order for Deliberative Assemblies è l’autorità indiscussa in materia e
le sue regole sono seguite in tutte le assemblee degli Stati Uniti,
dalle associazioni sportive alle società per azioni. Se avete mai
partecipato all’assemblea del vostro condominio, saprete che per
procedere con ordine e fare in modo che tutti si sentano trattati con
equità, non si può fare di testa propria: bisogna seguire regole
prestabilite e accettate da tutti. Di sicuro avrete sentito la mancanza
di uno strumento di questo tipo, poiché in Italia non esiste niente del
genere.
Tutte le regole di Robert sono violate in un «normale»
dibattito televisivo. Ad esempio, una regola fondamentale stabilisce che
il tema di un dibattito, cui è obbligatorio tenersi, non siano mai le
persone presenti, ma la mozione sul tappeto o l’argomento fissato. Si
può criticare il ragionamento di un avversario, mai l’avversario
personalmente. Non si possono attaccare o mettere in questione nemmeno
le motivazioni per cui un avversario sostiene quello che sostiene.
Qualunque riferimento personale va evitato. «Menzogna», «bugiardo» e
simili sono termini da evitare. Perché? Perché è vietato insinuare che
l’avversario sia in malafede.
Un’altra regola dice che i
moderatori non possono dare o togliere la parola a loro piacimento. I
dibattiti sulle nostre tv sono spettacoli per un pubblico indifferente
al fair play e alla pacatezza di cui l’intelligenza ha bisogno per
capire chi ha ragione e chi ha torto.
Servono ad accendere le
passioni. L’indignazione è la più politica delle passioni. Ci sono paesi
in cui si seguono le regole di Robert e paesi in cui non si seguono.
Perché la differenza? Forse nei primi si possono seguire le regole della
fairness perché ci sono meno mascalzoni che le violano, mentre i
secondi sono afflitti da livelli di mascalzonaggine così alti che è
impossibile affrontarli in politica indossando i guanti? O è vero invece
il contrario e proprio quando le regole esistono e molta gente per bene
cerca di farle rispettare ci sono meno mascalzoni in giro? Non so
rispondere ma sono sicuro che là dove le regole sono rispettate si vive
meglio. Inversamente, quando si assume di default che gli avversari
politici siano in malafede e si soffia sul fuoco dell’indignazione, può
succedere come in Olanda nel 1672. Johan de Witt, un bravo matematico
che per vent’anni aveva governato il paese con moderazione, fu linciato
insieme al fratello dalla folla aizzata dagli orangisti, massacrato,
appeso a testa in giù, squartato. Le sue viscere arrostite furono
divorate dalla folla. «Ultimi barbarorum» commentò Spinoza.