Repubblica 3.9.17
Ma ci serve ancora un mondo ideale
Reddito
garantito, frontiere aperte alle migrazioni e riduzione dell’orario di
lavoro: l’autore di “Utopia per realisti” Rutger Bregman spiega le
ragioni per cui è necessario tornare a immaginare una società diversa (e
possibile). “La narrazione della sinistra è sempre contro qualcosa.
Ma Luther King diceva di aver fatto un sogno, non un incubo”
di Simonetta Fiori
Era
impensabile fino a qualche anno fa che l’utopia potesse diventare
bestseller. E fa riflettere che a firmare questo piccolo miracolo
editoriale sia uno studioso non ancora trentenne. Il nuovo Mister Utopia
si chiama Rutger Bregman, è nato nel 1988 in una piccola città
turistica della Zelanda (Paesi Bassi) e vanta una formazione storica tra
l’Accademia di Utrecht e l’Università di Los Angeles. Fisico asciutto e
barbetta bionda, tiene lezioni- spettacolo in giro per l’Europa. Se gli
domandi perché abbia pensato di cimentarsi con un modello ideale un
tantino desueto, consegnato dal Novecento nel retropalco degli orrori,
la sua risposta rivela un cambiamento nello zeitgeist contemporaneo.
«Sono nato un anno prima della caduta del Muro. E sono cresciuto in
un’epoca in cui la gente cominciava a pensare che la storia fosse
finita, la stagione delle grandi narrazioni tramontata. E che essere di
sinistra significasse occuparsi soltanto della crescita economica e del
prossimo iPhone. Ho sempre avuto la fastidiosa sensazione che ci fossimo
perduti qualcosa». Dalla ricerca di questo qualcosa è nata la sua nuova
filosofia.
Qual è l’appello lanciato da Utopia for realists,
uscito inizialmente sul giornale olandese De Correspondent e tradotto
ora in Italia da Feltrinelli? Il male di oggi, la passione triste che ci
accompagna nell’Occidente dell’abbondanza, è la totale assenza di nuovi
orizzonti. Oggi siamo più ricchi, più longevi, più colti, più sani
rispetto a cinquant’anni fa ma non siamo più capaci di sognare. «Nel
Paese della Cuccagna non c’è spazio per le utopie», sostiene Bregman.
«Ci accontentiamo del benessere raggiunto senza aspirare a nuovi
traguardi. Ma le utopie sono necessarie perché spalancano le finestre
della mente. E alla stregua dell’umorismo e della satira accendono
l’immaginazione». Naturalmente Bregman sa bene che — a differenza
dell’umorismo e della satira — le utopie sono terreno fertile anche per
litigi, violenze, genocidi. « La storia è piena di varianti orribili di
utopismo — il fascismo, il nazismo, il comunismo — proprio come ogni
religione ha generato le sue sette fanatiche. Ma se un fanatico
religioso invita alla violenza, dobbiamo automaticamente scartare
l’intero credo? Dovremmo smettere definitivamente di sognare un mondo
migliore? » . Senza l’utopia, in sostanza, siamo perduti. E se non fosse
stato per i sognatori del passato, oggi saremmo tutti più poveri,
affamati, sporchi, stupidi, malati, brutti e spaventati. «Ci pensi un
momento: le pietre miliari del progresso civile una volta erano soltanto
fantasie. La fine della schiavitù. La democrazia. La nascita del
welfare state. Cos’erano un tempo se non un’accensione utopica? L’aveva
già detto Oscar Wilde: il progresso altro non è che il farsi storia
delle utopie».
Non sappiamo se Utopia for realists diventerà la
bibbia di un nuovo credo. Sappiamo però che in Olanda ha dato vita a un
movimento politico. E in Gran Bretagna è stato accolto con curiosità,
ricevendo gli elogi di Zygmunt Bauman, che l’ha letto proprio mentre
lavorava al suo ultimo saggio. «Quando ho finito di scrivere il libro,
mi sono procurato la sua mail per farglielo leggere » , racconta
Bregman. « Il giorno dopo nella mia posta elettronica c’era già il suo
messaggio: “Grazie! Ora alla mia diagnosi della malattia potrò
affiancare la tua prescrizione per la terapia…”. Il saggio a cui si
stava dedicando era proprio Retrotopia. Il problema del pensiero utopico
contemporaneo è quello di guardare al passato, non al futuro.
Retrotopia, appunto. Ed è esattamente l’impostazione che ho cercato di
cambiare con il mio libro».
La nuova utopia celebrata da Bregman
aspira a sradicare la povertà con il reddito universale di base. E a
ridurre la settimana lavorativa a quindici ore per permettere a uomini e
donne di occuparsi della famiglia e della collettività. E vagheggia
soprattutto l’abbattimento di confini e barriere per accogliere i popoli
migranti. Tutte proposte che alla fine del libro lo stesso autore non
esita a definire «folli», benché supportate da una nutrita galleria di
esempi storici anche inediti. Non sarà, mister Bregman, che valgono più
come provocazioni che come indicazioni concrete? «So bene che
politicamente parlando, e a breve termine, le mie idee potrebbero
risultare non molto realistiche. Ma penso che il compito
dell’intellettuale sia proprio rendere realistico l’irrealistico, e
inevitabile l’impossibile. Gandhi ammoniva: prima ti ignorano, poi ti
deridono, poi ti combattono, poi vinci». Ma non crede che nei paesi
colpiti da crisi economica e disoccupazione il sogno più grande sia
ottenere un lavoro più che la settimana corta? « No » , replica Bregman.
« Il sogno più grande sono i soldi e la dignità che un lavoro ti
garantisce. Ma purtroppo il nostro sistema economico ti costringe a
lavori mal pagati che non ti danno sicurezza né dignità».
Al di là
della realizzabilità o meno delle proposte, l’interesse di Utopia for
realists è soprattutto nel ritorno alla politica da parte d’una
generazione che lo stereotipo vorrebbe apolitica. Perché l’utopia
configurata nello spigliato pamphlet olandese altro non è che
l’invocazione d’una politica intesa come passione ideale e non
amministrazione dell’ordinario. «La politica è stata annacquata fino a
diventare gestione dei problemi » , dice Bregman. « E gli elettori
oscillano non perché i partiti siano diversi tra loro ma perché si
stenta a distinguerli l’uno dall’altro». Il vero bersaglio di questa
nuova bibbia utopica è la sinistra che «sembra essersi dimenticata
l’arte della politica», ossia la capacità di immaginazione. «Siate
realisti, chiedete l’impossibile » era il grido di battaglia del
Sessantotto. «Oggi la sinistra mette a tacere le idee più radicali per
la paura di perdere voti. È quello che io definisco il fenomeno del
socialismo perdente». L’idea portante del socialista perdente, aggiunge
lo studioso, è ritenere i neoliberisti imbattibili sul piano della
ragione e delle statistiche, così alla sinistra rimangono solo le
emozioni. «Il suo cuore è sempre nel posto giusto, ma quando il gioco si
fa duro il socialista perdente si piega sistematicamente alle tesi del
suo oppositore, accetta sempre le sue premesse».
Il guaio più
grande del socialista perdente è che risulta « terribilmente noioso » .
Non ha una storia da raccontare, né un linguaggio per narrarla. « Ma
attenzione, con questo non intendo una narrazione che stuzzichi qualche
fighetto. Intendo dire che oggi la sinistra europea sa dire solo cosa
non è. E contro chi è. Contro l’austerity. Contro l’establishment.
Contro l’omofobia. Contro il razzismo. Contro ogni cosa! Noi invece
abbiamo bisogno di essere a favore di qualcosa. Abbiamo bisogno di
immaginare una società diversa e di dare alla gente una speranza. Martin
Luther King non diceva: “ Ho avuto un incubo”. Diceva: “ Io ho fatto un
sogno” » .
Se è vero che ogni utopia nella storia ha sempre
rivelato qualcosa sull’epoca in cui è stata pensata, cosa rivela di noi
l’utopia di Rutger Bregman? «Un mondo con una profonda crisi di senso.
Pensi al numero crescente di persone che percepiscono il proprio lavoro
come superfluo, sostanzialmente inutile. Un antropologo della London
School of Economics li ha definiti “ lavori burla”. Addetto al
telemarketing, social media manager, consulente di pubbliche relazioni… E
questi mestieri inutili sono generalmente i più pagati » . Il suo
malumore deve essere condiviso da molti se i diritti del libro sono
stati comprati da ventuno paesi, tra cui il Brasile, gli Usa, la Cina,
il Giappone e la Corea.
Lei come spiega il successo internazionale di Utopia for realists?
«Fino
a pochi anni fa mi sentivo intellettualmente isolato, ma oggi sono
milioni di persone nel mondo a pensare a un’alternativa radicale.
Specialmente dopo l’ascesa di Trump e la rottura di Brexit è evidente
che non possiamo restare attaccati allo status quo. Ogni crisi è
un’opportunità. Ed è nei momenti di crisi che attecchiscono nuove idee».
?
Il libro
Utopia per realisti. Come costruire davvero il
mondo ideale (Feltrinelli) è il nuovo libro dello storico ventinovenne
Rutger Bregman, che invita a recuperare la capacità di immaginare
cambiamenti radicali nella società. Domenica 17 settembre lo presenterà a
Pordenonelegge (Auditorium Vendramini, ore 15)