domenica 3 settembre 2017

Repubblica 3.9.17
La nuova pubblicità Motta con una mamma (e poi un papà) travolti da un asteroide è lontana anni luce dalla famiglia in stile “Mulino Bianco”. E dichiaratamente ironica: ma a molti sfugge
Buondì contro buonisti se lo spot trasgredisce la regola dell’happy end
di Stefano Bartezzaghi

IL buon giorno si vede dal mattino, il Buondì si vede dal martirio. Vi ricordate il Mulino Bianco? Quello, quando è sorto, era l’opposto non solo cromatico del Moulin Rouge: famiglia contro libertinismo; donne angelicate contro donne di perdizione; bambine contro lolite, nuova verginità contro l’ormai invecchiata trasgressività sessuale. Bene, rovesciate tutto un’altra volta perché, tanti decenni dopo, siamo all’antidoto cattivista del Mulino Bianco stesso: siamo cioè al Buondì contro il buonismo. «Mamma, mamma!»: il parco di una villa sontuosa, una tavola imbandita, una bambina petulante e leziosa che arriva dal prato e reclama «una colazione leggera e decisamente invitante che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità». Decisamente, leggera/ leggerezza, golosità: ‘sta smorfiosa si esprime in un italiano aulico, velleitario, inverosimile (e, purtroppo, sintatticamente fallace). Con dolcezza non esente da perfidia, la mamma — bella signora — ribatte che una colazione così «non esiste », ma l’asteroide che evoca a controprova arriva poi davvero, e la annichilisce. Infatti il dolciume leggero eppure goloso esiste: è proprio il Buondì. La storia resta aperta, lasciandoci così nel dubbio: la bambina si dispererà per la scomparsa della mamma o esulterà per la comparsa della sognata merendina? Un secondo spot, di fatto, la mostra indifferente: un altro asteroide farà fuori anche il papà. Basterà questa pur debole sinossi linguistica a far capire che siamo in un universo perfettamente parodico, dove l’istantanea cancellazione della Madre (e poi del Padre) dal registro dei viventi non sfiora neppure da lontano il tragico di Edipo, il trauma di Bambi o il patetismo di Anna Magnani. Eppure in Rete, il celebre, e usualmente spassoso, account delle “frasi di Osho” ironizza a sua volta sulla fraseologia inverosimile della bambina, e mille altri account commentano caustici, quasi che lo spot potesse essere interpretato letteralmente. E dunque, più che lecito, il dubbio diventa oramai doveroso: in Rete peschiamo o siamo pescati? La suprema legge universale dell’ironia scopre il suo confine naturale: è ironia solo quando la faccio io. Se non l’ho fatta io, è qualcosa di serio, su cui devo obbligatoriamente ironizzare. Malgrado tutti i segnali, tali che più espliciti non si potrebbero desiderare, scatta la gara a denigrare la bambina cretina, la mamma che l’ha messa sbadatamente al mondo, il papà che non sa mai nulla, l’asteroide a favore di una merendina, la vanità del tutto. Ribattere con pazienza, account per account, «guarda che l’hanno fatto apposta» non basta, anzi non serve proprio. Il fatto è che una volta che si decide di usare l’arma del ridicolo, il ridicolo intenzionale si confonde con quello involontario. Un messaggio pubblicitario del genere funziona perché dà a ciascuno l’illusione di trovare qualcosa di ridicolo in chiunque, fuorché in sé stesso.
Vista in sé stessa, quella del Buondì è una pubblicità come un’altra. Ma considerato l’effetto che ha ottenuto occorre dire: bravi tutti. Davvero. Anche perché, in questi primissimi giorni dopo la rentrée estiva, la grande parte dei commentatori non l’avrà presumibilmente vista in tv ma, appunto, in Rete. Tutti ne parlano e allora vediamo cosa è. Il risultato economico è ragguardevole e qui bisogna capire che il prodotto non è più il “Buondì”: è la pubblicità stessa. L’indotto industriale di indignazione, sarcasmo, ironia che viene mobilitato a valanga dalla moltiplicazione delle condivisioni, dei retweet, dei mi piace, dei commenti (il presente incluso) impone agli utenti del web di guardare lo spot per comprenderne le conseguenze: che siano parodie o biasimi. La «vecchia» e «inguardabile » tv si prende una rivincita sullo snobismo web. Scusare tanto se viene anche a noi da chiamare mamma e papà.