Repubblica 3.9.17
La strada maestra per vincere la sfida della povertà
Servono politiche a sostegno del lavoro e contro le diseguaglianze
Sono convinto che una pratica del genere sia di sinistra
di Eugenio Scalfari
HO
MOLTO piacere di aver letto sul Messaggero di ieri il primo articolo di
Luca Ricolfi che fin qui collaborò con Il Sole 24 Ore con articoli a
volte più tecnici che politici. Ricolfi tocca un problema centrale per
le società moderne: il lavoro e l’occupazione. È un tema della massima
importanza e lo è sempre stato sia per i suoi aspetti politici sia per
quelli economici e sociali. Vorrei aggiungere che Ricolfi accenna nel
finale del suo articolo a questo tema senza però svilupparlo. Il lavoro e
l’occupazione ovviamente non esauriscono affatto la natura di una
società ma la caratterizzano con le loro diversità. È diverso il tasso
di occupazione tra giovani e anziani (direi che i cinquantenni sono il
punto di divisione tra le due stagioni). È diverso se il lavoro viene
offerto da grandi o da medie o da piccole imprese, alcune addirittura di
carattere familiare. È diverso il modo in cui lo Stato aiuta queste
varie categorie imprenditoriali. È diversa la mobilità del lavoro, che
in larga parte dipende dalla natura delle produzioni e dei materiali
tecnici applicati. E anche il commercio, se è confinato all’interno di
un’area limitata o è invece esteso al mondo intero. In sostanza lavoro e
occupazione caratterizzano una società e spesso addirittura un’intera
Nazione e/o un aggregato di Nazioni.
Fin qui non abbiamo ancora
parlato di altri tre aspetti fondamentali, necessari per una visione
d’insieme della vita sociale: la politica, l’immigrazione, la povertà.
L’ESAME di questi tre aspetti permette una visione completa della storia del mondo in cui viviamo.
Cominciamo dal tema dei poveri, il più sentito dalle religioni e da quella cattolico-cristiana in particolare.
***
Dalle
religioni cristiane certo, perché Gesù di Nazareth che ne fu il
fondatore era un povero che predicava ai poveri. Ma in realtà i poveri
furono l’alimento di quasi tutte le sommosse, le predicazioni e le
rivoluzioni nella storia d’un mondo sempre più affollato come numero
d’abitanti.
La ricchezza non è quasi mai stata la condizione
generale d’un Paese e neppure di una singola regione. È molto raro che
ciò sia accaduto. In una società territorialmente vasta i poveri sono
sempre stati la maggioranza, rivaleggiando spesso con il ceto medio. La
minoranza era la classe ricca, nobile, spesso anche detentrice del
potere politico. Sommosse e rivoluzioni modificavano profondamente
questo stato di cose, ma in breve tempo tutto tornava come prima. Spesso
la composizione sociale e politica era cambiata e i rivoltosi di ieri
diventavano i potenti e i ricchi di oggi, ma il numero era fortemente
rimpicciolito e la natura del ceto medio era cambiata. Questi erano i
sommovimenti provocati dalle rivoluzioni. Assai meno dalle sommosse, i
cui effetti sociali duravano ben poco e tutto riprendeva come prima, con
qualche misura punitiva che sanzionava il fatto di essersi ribellati.
C’è
un punto tuttavia sul quale converrà soffermarsi: i poveri. Possibile
che ci siano sempre stati e sempre ci saranno? Il mondo va avanti, la
vita sempre cambia, la tecnologia è in crescita costante, ma i poveri
sono lì, senza lavoro, senza reddito compatibile, senza le forze di
eliminare o almeno fortemente modificare quella loro condizione.
A
volte il loro numero, in rapporto al numero totale degli abitanti di
quel territorio, diminuisce e questo è un gran successo. Stabilmente?
Sì, a volte stabilmente. Nella società comunista, dalla fine dell’ultima
guerra (vittoriosa) ad oggi con la Russia di Putin, i poveri sono
diminuiti se non addirittura scomparsi. Sono abbastanza prossimi al ceto
medio. Forse è quest’ultimo che ha abbassato il proprio tenore di vita.
Comunque,
in una visione d’insieme, le condizioni generali sembrano
apparentemente aver eliminato i poveri. C’è però un peggioramento di
altra natura ma di non minore gravità: hanno perso la libertà. Non
totalmente ma sostanzialmente. Si dirà che è meglio un miglioramento
sociale che un peggioramento politico. Dipende dai punti di vista.
Insomma
e per concludere su questo punto, i poveri ci sono sempre. Variano le
cause della loro esistenza. La causa di oggi ha come effetto
l’emigrazione. Da alcune zone del mondo, per ragioni economiche e
politiche, interi popoli si allontanano cercando uno stato sociale più
conveniente, ma non lo trovano, anzi precipitano in sistemi peggiori,
morte compresa o prigionia o prostituzione o schiavitù. Comunque
suscitano problemi sociali e politici nei Paesi nei quali arrivano. La
pratica di quei Paesi (di fatto l’Europa e soprattutto quella che si
affaccia sul Mediterraneo, ma anche il Medio Oriente) è duplice: c’è una
parte della pubblica opinione che vuole chiudere loro le porte in
faccia e ributtarli a mare; un’altra parte vede il beneficio economico
di farli lavorare, magari pro tempore e clandestinamente. Infine
un’altra parte ancora cerca di ricondurli alla zona di partenza, mutando
sul luogo le condizioni e creando lavoro e reddito compatibile.
Questa
è la linea che le tre maggiori potenze dell’Europa mediterranea,
Francia, Italia, Spagna, più la Germania per ragione di autorevolezza
politica, stanno ora perseguendo.
Questa politica farà scomparire i
poveri? Purtroppo no. Indicherà piuttosto sui territori le persone
coinvolte dai suddetti programmi, ma i poveri dei Paesi africani, e non
soltanto quelli ma molti di più, rappresentano a dir poco mezzo miliardo
di persone dei quasi otto miliardi che abitano il pianeta.
Mezzo
miliardo o, più probabilmente, ottocento milioni di poveri, derelitti,
decisi ad abbandonare i loro Paesi e ad affrontare la libertà di
movimento con tutti i rischi, le avventure e la morte alla quale vanno
incontro.
Papa Francesco, che è per ovvie ragioni estremamente
sensibile all’esistenza e alla terribile vita dei poveri, ha definito
questo fenomeno con la parola «meticciato» al quale dà per molte ragioni
un significato positivo.
Ne abbiamo parlato più volte su queste
colonne, ma oggi torna ancora un’occasione attuale. I popoli decisi a
muoversi oggi vivono in condizioni di estrema indigenza e puntano
all’emigrazione possibilmente verso l’Europa. Non vengono soltanto dal
Sud del mondo, ma anche dall’Est.
La Chiesa vede l’intreccio
culturale, sociale e sessuale tra popolazioni profondamente diverse come
un fatto molto positivo e da parte sua lo incoraggia; ne predice la
positività; esorta verso politiche che favoriscano il fenomeno e ne
traggano anche conseguenze religiose. Papa Francesco, come è noto,
predica l’esistenza di un Dio unico che affratella tutte le razze umane e
stronca i fondamentalismi religiosi che ancora insanguinano il pianeta.
Il
Dio unico, per chi ha fede, e il mescolamento delle razze che dà luogo
al meticciato sarebbero avvenimenti decisivi contro la povertà e a
favore di politiche consone a raggiungere quei risultati. Politiche che
sostengano lavoro e occupazione, specie per i giovani, aiutando gli
anziani con pensioni che assicurino loro la vita, e puntino sulla lotta
alle diseguaglianze, sul taglio consistente del cuneo fiscale e sul suo
finanziamento attraverso imposte di natura patrimoniale.
Una
pratica del genere può definirsi di sinistra? Personalmente sono
convinto che sia una politica di sinistra e mi auguro un governo, dopo
la naturale scadenza della legislatura, che la attui e la diffonda a
livello europeo. Sarebbe un passo essenziale anche per l’unità
dell’Europa, che non cesso di auspicare federale e quindi unitaria e
democratica, con l’obiettivo di far diminuire o addirittura di abolire
la povertà nel nostro continente.