Repubblica 3.9.17
L’orgoglio perduto dell’università
di Valerio Magrelli
CENTINAIA
di spettatori paganti, 40 sterline a biglietto, posti esauriti, un
gruppo di spalla composta da fiati, proiezioni video. Il tutto, al Royal
Festival Hall del Southbank Centre, uno fra i più grandi auditorium di
Londra. La ragione dell’incontro? Né una rockstar, né un divo da
best-seller, bensì una consegna di diplomi. Sono quelli dei Master e dei
PhD, l’equivalente dei nostri dottorati, rilasciati dall’Ucl
(University College of London) nelle discipline più varie, ingegneria e
letteratura, management e traduzione, chimica e filosofia. Per chi
provenga dall’università pubblica italiana, come nel mio caso, è
un’esperienza senza precedenti. Sono stupefatto da una simile concezione
della laurea, che fa letteralmente impallidire le timide corone di
alloro di qualche nostro studente. Le Graduation Cerimonies
rappresentano un vero e proprio rito di passaggio, grazie al quale gli
studenti si trasformano in “Alumni”, continuando così a far parte della
stessa comunità dalla quale si stanno congedando. E si badi, non stiamo
parlando di università costosissime sul genere di Oxford, Eaton o
Cambridge, ma di un’istituzione alla portata di molti inglesi e
stranieri, come dimostra l’enorme quantità di iscritti provenienti
dall’Asia e dall’Africa, con una piccola quota di italiani.
Dopo
aver prenotato il mio posto con mesi d’anticipo, seguo una serie di
interviste ad alcuni ex allievi celebri. Ma dura poco, poiché veniamo
tutti invitati ad alzarci per salutare l’arrivo dei professori — proprio
come quando la Corte fa il suo ingresso nelle aule di Giustizia! Sono
una trentina, vestiti con abiti d’epoca, e seguono un maestro di
cerimonie fino a prendere posto sul palco, dove per quasi due ore
assisteranno a un’ininterrotta sfilata di laureandi. Tutti in tocco (il
copricapo reso celebre da Harry Potter), tutti in toga nera (con nastri
di colore diverso a seconda delle materie), attraversano la scena
raggianti per dare la mano al prorettore e salutare i compagni, che
rispondono ora con applausi gentili, ora con boati di giubilo.
Rispetto
alla nostra università pubblica è un’esperienza unica, soprattutto in
un momento in cui, dopo decenni, buona parte del corpo insegnante ha
deciso di scioperare seguendo il Movimento per la Dignità della Docenza
Universitaria. Le cause della protesta sono note: una clamorosa,
grottesca discriminazione. Basti sapere che ai professori sono stati
inspiegabilmente negati gli scatti di stipendio degli ultimi anni. Il
punto, però, è un altro, e riguarda la tutela e la valorizzazione del
mondo accademico nel suo complesso. Me ne rendo conto davanti a questa
folla festante, entusiasta. E allora penso che, seguendo il bell’esempio
inglese, l’università italiana dovrebbe ritrovare l’orgoglio, visto che
resta, non dimentichiamolo, tra le migliori al mondo: prova ne sia che
tutte le altre ci rubano migliaia di studenti… Parlando appunto di
Dignità di docenti e discenti, dovremmo intanto rivendicare il pregio
che la vita accademica possiede comunque, indipendentemente dalla sua
pur sacrosanta monetizzazione, per l’educazione di un soggetto
Consapevole, Colto e Critico: tre belle “C” da opporre alle sciagurate
tre “I” di berlusconiana memoria. Partendo dalla lezione come momento
formativo, comunitario per eccellenza, bisognerebbe saper evidenziare,
senza alcun malrisposto imbarazzo, l’esperienza che matura nel lungo
periodo universitario. Tre o quattro anni di studio non sono uno
scherzo, e non andrebbero liquidati alla leggera.
Ebbene,
un’adeguata consacrazione del titolo accademico darebbe valore alle ore
passate sui libri. Sì, io sarei fiero di vestirmi da pagliaccio come i
miei colleghi inglesi rischiano di apparire. Sarei felice di condividere
con gli studenti la liturgia della tesi — perché di un’autentica
liturgia si tratta, nonostante scandali e corruzioni imperdonabili. C’è
del marcio in Danimarca, si legge nell’Amleto; figuriamoci nel mondo
accademico italiano. Tuttavia, da qui alla sistematica (e politicamente
assai interessata) denigrazione, ce ne passa. Malgrado lo sfruttamento
di assegnisti e ricercatori, malgrado il nepotismo, malgrado i tanti
tagli (troppo spesso stornati verso quel finanziamento dell’insegnamento
privato che, dovremmo ricordare, va contro la Costituzione), occorre
ribadire che il nostro sistema universitario rimane per molti aspetti
esemplare. E allora salutiamolo con le trombe, acclamiamo i meriti di
chi studia, e facciamo pagare i biglietti per assistere al conferimento
delle lauree.