Corriere 3.9.17
La riforma della scuola è avere buoni professori
di Nuccio Ordine
Ora
che le scuole riaprono dopo la pausa estiva, per capire la vera essenza
dell’insegnamento bisognerebbe rileggere con attenzione la commovente
lettera che Albert Camus — poche settimane dopo la vittoria del Nobel
(19 novembre 1957) — scrisse al suo maestro di Algeri, Louis Germain:
«Caro signor Germain, ho aspettato che si spegnesse il baccano che mi ha
circondato in tutti questi giorni, prima di venire a parlarle con tutto
il cuore. Mi hanno fatto un onore davvero troppo grande che non ho né
cercato, né sollecitato. Ma quando mi è giunta la notizia, il mio primo
pensiero, dopo che per mia madre, è stato per lei. Senza di lei, senza
quella mano affettuosa che lei tese a quel bambino povero che ero, senza
il suo insegnamento e il suo esempio, non ci sarebbe stato nulla di
tutto questo».
Adesso che i riflettori rimarranno accesi ancora
per qualche giorno sull’inizio del nuovo anno scolastico, sarebbe
importante concentrare il dibattito su due figure essenziali: gli
studenti e i professori. Eppure — dopo i numerosi «terremoti» che hanno
scosso le fondamenta del nostro sistema educativo — sembra che la
relazione maestro-allievo non occupi più quella centralità che dovrebbe
avere. Ai professori, infatti, non si chiede di studiare e di preparare
lezioni. Si chiede, al contrario, di svolgere funzioni burocratiche che
finiscono per assorbire gran parte del loro tempo e del loro entusiasmo.
Le ore dedicate a riempire carte su carte potrebbero essere invece
investite per leggere classici, per approfondire le proprie conoscenze e
per cercare di insegnare con passione.
Dopo decenni di devastanti
tagli all’istruzione, l’unico importante investimento economico (un
miliardo di euro) degli ultimi anni è stato destinato alla cosiddetta
«scuola digitale», con l’illusione che le nuove tecnologie possano
garantire un salto di qualità. Ma ne siamo veramente sicuri, in un
momento in cui mancano le risorse destinate a riqualificare la qualità
dell’insegnamento? A cosa serve un computer senza un buon docente? Il
caos di ogni inizio anno e le incertezze del reclutamento dei professori
stanno sotto gli occhi di tutti. La «buona scuola» non la fanno né le
lavagne connesse, né i tablet su ogni banco, né un’organizzazione
manageriale degli istituti e ancor meno leggi che rendano l’istruzione
ancella del mercato: la «buona scuola» la fanno solo e soltanto i buoni
professori. Basterebbe leggere le dichiarazioni del presidente Macron
per capire l’orientamento della Francia: non più di 12 alunni per classe
nelle aree considerate a rischio «economicamente» e «socialmente»,
proprio per dare, attraverso uno straordinario potenziamento dei
docenti, più centralità al rapporto diretto con gli studenti.
Dai
professori bisognerebbe partire. Che fare? Come formarli? Come
selezionarli? La nostra scuola non ha bisogno di ulteriori riforme. Non
ha bisogno dell’alternanza scuola-lavoro così come viene applicata (le
ore non sarebbe meglio investirle in conoscenze di base?). Non ha
bisogno di commissioni che studiano la riammissione degli smartphone in
classe (perché, al contrario, non aiutare gli studenti, che li usano
tutto il giorno, a «disintossicarsi» e a vincere la «dipendenza»?) o che
propongono la riduzione di un anno della scuola secondaria (la fretta
non aiuta a formare alunni migliori: la frutta maturata con ritmi veloci
non ha lo stesso sapore di quella che cresce sull’albero). La peggiore
delle riforme con buoni professori darà buoni risultati. E, al
contrario, la migliore delle riforme con pessimi professori darà pessimi
risultati. C’è bisogno di un sistema di reclutamento che possa
garantire un percorso chiaro e sicuro: ogni anno, a prescindere dal
colore dei governi, un concorso nazionale (come si fa in molti Paesi). E
non l’alea dei concorsoni decennali e dei percorsi improvvisati che
hanno prodotto infinite tipologie di precari: una matassa talmente
ingarbugliata che nessun miracoloso algoritmo arriverà a sbrogliare.
Decine
e decine di migliaia di precari (con ormai un’età media veramente
preoccupante) potranno entrare in classe con entusiasmo? Potranno
insegnare con passione? Selezionare i buoni professori (eliminando
completamente il precariato) e ridare dignità al lavoro di insegnante
(anche sul piano economico, visto che gli stipendi italiani sono molto
bassi rispetto alla media europea) è ormai una necessità. Solo così
potremo riportare la scuola alla sua vera essenza, alla centralità del
rapporto docente-allievo.
In alcune scuole del Nord e del Sud,
ogni giorno, questo miracolo già accade. Riposa sulle spalle di singoli
insegnanti appassionati che dedicano, controcorrente, la loro vita agli
studenti. Che cercano di far capire ai ragazzi che a scuola ci si
iscrive soprattutto per diventare migliori e che la letteratura e le
scienze non si studiano per prendere un voto, o per esercitare solo una
professione, ma perché ci aiutano a vivere. Per fortuna, nonostante
leggi e circolari assurde, non mancano fino ad oggi allievi che hanno
visto cambiare la loro vita grazie all’incontro con un professore.
Proprio come il maestro Germain, in Algeria, era riuscito a cambiare il
destino di uno scolaro, orfano di padre e molto povero, come Albert
Camus. Ma, se non si frena il declino, per quanti anni ancora la scuola
potrà contare su quei docenti (ormai sempre più rari) in grado di
compiere miracoli?