il manifesto 3.9.17
La chiesa e la cura del vivere
Il 
papa in psicoanalisi. Per i gesuiti l'analisi è un valido strumento di 
cura psichica e non esiste alcuna incompatibilità con la fede. Eppure la
 rivelazione di Bergoglio va ben oltre, afferma un principio di laicità e
 riconosce l’autonomia dei dubbi, del dolore, delle incertezze
di Sarantis Thanopulos
Papa
 Francesco all’età di 42 anni si è fatto aiutare per un breve periodo da
 una psicoanalista ebrea. La rivelazione è contenuta in un libro di 
prossima pubblicazione in Francia (Politique et société edizioni 
L’Observatoire): la trascrizione di dodici dialoghi con il sociologo 
Dominique Wolton.
Il fatto non è di per sé sorprendente. Bisogna 
considerare prima di tutto che papa Francesco è gesuita. Per i gesuiti 
la psicoanalisi è un valido strumento di cura psichica e il ricorso 
personale ad essa può essere finanziato dal loro ordine. Parecchi degli 
analisti sono credenti come anche la maggior parte dei loro analizzandi.
 Tra la psicoanalisi e la fede non esiste alcuna incompatibilità: i 
conflitti psichici si distribuiscono equamente tra credenti e non 
credenti.
Nondimeno la confessione pubblica del papa ha una sua 
innegabile particolarità. Proveniente dalla massima autorità della 
chiesa cattolica va ben oltre ciò che un fedele o un sacerdote fanno 
nella loro privata.
Afferma un principio di laicità che non 
consiste solo nel dare a Cesare ciò che è di Cesare (un riconoscimento 
dell’ordinamento politico terreno che legittimò la trasformazione della 
chiesa in un’organizzazione di potere secolare). Riconosce anche 
l’autonomia dei dubbi, del dolore, delle incertezze che fanno parte 
della nostra esistenza (e la cui elaborazione determina la sua qualità, 
dalla fede nei valori eterni di una vita oltre la morte). La fede non 
può garantire da sola una vita decente, la terra può guardare il cielo 
per trovare in esso una visuale superiore delle cose di questo mondo, ma
 questa visuale non decide il modo di vivere e di gestire i propri 
desideri e sentimenti.
La differenza tra la religione cattolica e 
la psicoanalisi sta nella centralità che quest’ultima attribuisce alla 
dimensione erotica dell’esistenza. Ciò non implica semplicemente la 
sessualità vera e propria, con tutta la sua fondamentale importanza, ma 
più in generale il modo profondo, radicato nei sensi, di gustare e dare 
senso alla propria vita. La spiritualità religiosa, che si fa carico 
della caducità, nella prospettiva psicoanalitica è sostituita dalla 
sublimazione: l’esperienza culturale, includente la religiosità, che 
espande il piacere dei sensi e la profondità/intensità dei vissuti oltre
 i confini della pura contiguità sensoriale. Questa espansione amplia i 
legami e la ricchezza degli scambi tra di noi al di là dei limiti 
temporali e trasforma l’esperienza concreta, limitata del singolo 
individuo in una parte dell’infinita varietà potenziale dell’avventura 
umana.
La prospettiva psicoanalitica e quella cattolica non sono 
affatto in contraddizione insanabile se la spiritualità accetta la 
differenza tra la vita terrena e il principio dell’eternità, se non 
pretende che il secondo disincarni la prima, che la svuoti di senso e di
 soddisfazione. Se riconosce che una persona deprivata sul piano del 
desiderio e delle sue molteplici forme sublimate e appiattita su una 
posizione di dilazione consolatoria del piacere del vivere, astratto da 
ogni forma di emozione vera, è ridotta alla materia del proprio 
scheletro. Nessuna forza la farà risorgere, la morte se ne è impadronita
 per sempre. I credenti che hanno rispetto di se stessi e degli altri 
non aspirano alla resurrezione dei morti viventi.
Papa Francesco 
sembra più vicino dei suoi predecessori a Sofocle, un uomo profondamente
 religioso. In Antigone, dopo aver detto che l’eros è in battaglia 
invincibile, il grande tragico ha affermato che il Desiderio siede tra 
le Leggi (politiche e religiose) possenti.
 
