Repubblica 29.9.17
L’eutanasia dei diritti
di Chiara Saraceno
NON
c’è solo l’affronto allo Ius soli. Anche la legge sulle “Norme in
materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di
trattamento sanitario”, il cosiddetto biotestamento, come quelle sulla
cittadinanza e sul diritto a portare anche il cognome della madre (che
pare persino sparita del tutto dall’agenda), sembra destinata a non
arrivare alla meta, condannata all’eutanasia parlamentare.
Dopo
essere stata approvata dalla Camera in aprile, calendarizzata dapprima
dal Senato a giugno, rimandata a settembre, ora è stata di nuovo
rimandata in attesa dei pareri di varie commissioni: un’utile scusa per
allungare i tempi e non portarla in aula. Si vogliono evitare scontri
non solo con l’opposizione, ma anche interni alla maggioranza in un
clima pre-elettorale difficile, dove la minoranza interna alfaniana ha
assunto sempre più un enorme potere ricattatorio, giocato quasi
esclusivamente nel contrasto all’estensione dei diritti civili.
Esattamente ciò che vogliono coloro che si oppongono a qualsiasi
riconoscimento del diritto di ciascuno, anche quando impossibilitato a
farlo da sé, a rifiutare cure che ritiene un inutile prolungamento delle
proprie sofferenze e/o di una vita che non considera più dignitosa.
Eppure,
quella approvata alla Camera dopo molte discussioni e mediazioni, è una
normativa molto ragionevole e consapevole dei possibili rischi di
arbitrio. Assegna, infatti, non solo diritti, ma anche molta
responsabilità a tutti i soggetti coinvolti: il diritto, ma anche il
dovere a essere adeguatamente informati sulla prognosi della propria
situazione e sulle opzioni disponibili. Quindi il dovere dei medici di
informare correttamente e con efficacia, dialogando con il malato e i
suoi famigliari, prestando loro attenzione e tempo. Il diritto alle cure
palliative e alla sedazione profonda, formalmente già in vigore, ma non
sempre attuato per mancanza di risorse, tempo, competenze e luoghi
adatti. Il diritto del minore a esprimere la propria volontà, che
tuttavia deve essere sempre accompagnata dalla volontà dei genitori e,
in caso di scelta di interrompere le cure, anche del giudice tutelare.
Anche le cosiddette Dat, Dichiarazioni anticipate di trattamento,
attraverso le quali una persona potrebbe lasciare le sue volontà circa i
trattamenti sanitari a cui essere sottoposta, o da rifiutare nel caso
non fosse più cosciente a causa di un incidente o una malattia, non solo
devono essere rese con una modalità a rilevanza pubblica. Devono anche
essere sottoposte a verifica di appropriatezza nel momento in cui
dovessero essere concretamente attivate.
È anche riconosciuto il
diritto del medico all’obiezione di coscienza, nonostante la vicenda
della obiezione di massa rispetto all’interruzione volontaria di
gravidanza abbia ampiamente dimostrato quanto essa possa ledere di fatto
i diritti delle donne che desiderano abortire. In altri termini, si
tratta di una normativa molto (per alcuni troppo) cauta. Soprattutto,
non è una legge sulla eutanasia, ma sul diritto a non contrastare la
morte quando, non solo non vi è più speranza, ma le condizioni del
mantenimento in vita sono intollerabili a giudizio dei diretti
interessati.
A questo proposito vale la pena di rammentare che già
ora, se una persona è in grado di intendere e volere, è maggiorenne e
può usare braccia e gambe, può lasciare un letto d’ospedale, rifiutare
l’alimentazione forzata o una operazione chirurgica che ritiene inutile.
Può farlo anche quando l’operazione non sarebbe inutile. Così come può
stringere le labbra per impedire di essere nutrita, come ho visto fare
da molti grandi anziani. Imporre le cure o il nutrimento in queste
situazioni sarebbe considerato, anche penalmente, un reato contro
l’integrità personale. Ma se per sventura si viene intubati e, come si
dice colloquialmente, si “viene attaccati alle macchine”, anche se si è
ancora in grado di esprimere la propria volontà questa non ha più
valore.
I dolorosi casi di Welby e altri testimoniano che non c’è
grido, volontà tenacemente espressa che trovi ascolto legittimo in
assenza di una norma. Può solo incontrare, come accade più spesso di
quanto non si ammetta, l’ascolto pietoso, ma discrezionale e rischioso,
di un medico che se ne assume il rischio.
La legge in oggetto
intende appunto correggere questo, ingiusto, scarto nel riconoscimento
della libertà delle persone a preservare la propria integrità e
autonomia di giudizio anche di fronte alla morte. In una società
liberale e democratica non discriminare tra chi può esercitare il
proprio diritto a scegliere di accettare la morte rifiutando le cure e
chi, invece, non può farlo, pur volendolo ed esprimendosi in questo
senso o avendolo detto quando ne era in grado, dovrebbe essere un valore
e un obiettivo condiviso. Di più, è proprio la libertà dei più deboli e
indifesi che andrebbe riconosciuta e sostenuta. Opporsi a questa
libertà in nome del “valore della vita” è un atto di insopportabile
sopraffazione e una mancanza di rispetto.