Repubblica 29.9.17
Chi cavalca la rabbia dei poveri
di Gianluca Di Feo
SI
definiscono patrioti, ma sono soltanto fascisti. Gli stessi che
vivevano relegati ai margini della cronaca. Ora hanno fiutato il vento
vincente dei populismi e si impossessano del malessere delle nostre
periferie.
SEGUE A PAGINA 43
PERIFERIE da troppo tempo
abbandonate a se stesse, dove tutti si sentono traditi dalle
istituzioni. Ovunque, ma soprattutto nella Capitale. «In almeno cinque o
sei quartieri di Roma, Forza Nuova è egemone. Famiglie e cittadini
scendono in piazza ad appoggiare le nostre iniziative, facendo emergere
una vera questione sociale», proclama Roberto Fiore, il leader più
politico del neofascismo. A guidare ieri la resistenza contro lo
sgombero di un alloggio popolare occupato abusivamente e destinato a una
coppia italo-etiope c’era un suo vecchio sodale, Giuliano Castellino,
più abituato a usare le mani che non le parole: una figura per decenni
relegata nelle curve peggiori degli stadi e negli angoli oscuri degli
intrecci malavitosi, che adesso si erge a “patriota”. Castellino e i
suoi hanno lanciato pietre contro la polizia, ferendo tre agenti, ma
sono riusciti nel loro scopo: imporsi come i Robin Hood della
maggioranza rabbiosa di queste borgate.
Da mesi la fascia di
palazzi desolati che circonda la Capitale si è trasformata nel
laboratorio di un populismo apertamente neofascista. Squadracce che si
impadroniscono con la violenza della piazza, che sfruttano ogni problema
per sbandierare il manifesto della loro ideologia, semplificata in un
unico slogan che legittima qualunque abuso: “Prima gli italiani”. Un
manifesto di rapida presa in quartieri dominati dalla paura verso lo
straniero, dove persino chi saccheggia abitualmente i supermercati —
come è accaduto un mese fa al Tiburtino III — si muta in eroe della
rivolta contro gli immigrati. Un copione che ormai si ripete dal 2014,
dall’assedio nero al centro per profughi minorenni di Tor Sapienza.
Non
importa chi abbia torto o ragione, ogni singolo episodio diventa un
focolaio di intolleranza. Tre giorni fa l’aggressione di un malese,
subito arrestato, contro due fidanzati che si baciavano nei pressi del
centro islamico di via San Vito, a pochi metri da Santa Maria Maggiore,
ha innescato la mobilitazione di tutte le destre, da Giorgia Meloni a
Casa-Pound. Tutte pronte a invocare la chiusura dell’unico luogo di
preghiera della comunità del Bangladesh che vive e lavora nella zona di
Piazza Vittorio, senza mai avere creato problemi. E lunedì notte c’è
stata la guerriglia di Guidonia, con la caccia all’uomo lanciata da
cento persone dopo che un rom alla guida di un furgone aveva scatenato
il panico facendo gimkane sui marciapiedi. «Noi qui già siamo
considerati scarti, se qui ci mandano gli scarti di Roma ( ndr riferito
ai nomadi) finisce che tra poveri, lasciati soli, vince er più
prepotente. È normale, è la legge della strada», ha dichiarato uno degli
“insorti” a Federica Angeli. Può uno Stato arrendersi alla legge della
strada?
L’epicentro di questo malessere che issa sul podio i nuovi
fascisti è la periferia romana, dove ogni concetto di convivenza si sta
sgretolando nel crollo dei servizi elementari, come la pulizia urbana e
i trasporti pubblici. Le stesse borgate che quindici mesi fa decisero
il trionfo di Virginia Raggi adesso si mostrano deluse dai Cinquestelle,
come da tutti gli altri partiti tradizionali. Ma l’abisso sociale in
cui sprofondano questi territori è questione antica, che nessuno ha
voluto affrontare. A ogni elezione si ripetono promesse che non vengono
mantenute, si elaborano piani d’intervento mai attuati, c’è persino una
commissione parlamentare d’inchiesta che da oltre un anno accumula
audizioni e studi sul tema.
Il tempo per i discorsi è finito, a
Roma e in tutta Italia. Non possiamo permetterci di ignorare oltre la
situazione di questi quartieri dove l’insicurezza genera intolleranza e
amplifica i messaggi del nuovo fascismo: in gioco c’è l’essenza della
nostra democrazia, con il rischio di vedere rapidamente crescere il peso
elettorale di formazioni contrarie ai valori della Costituzione. Serve
fermezza nel reprimere chiunque faccia bandiera della violenza e della
xenofobia. Ma servono soprattutto provvedimenti urgenti e concreti per
testimoniare la presenza delle istituzioni. Non esistono più un noi e un
loro: quello che accade lì, condizionerà anche il futuro politico del
Paese.