Repubblica 28.9.17
Matthias Brandt, figlio del cancelliere della Ostpolitik: “Ignorano il passato”
“C’è una destra irrazionale che minaccia il mio Paese”
Ragazzini che fanno il saluto hitleriano: è il segno che non hanno prospettive
intervista di Roberto Brunelli
BERLINO.
Matthias Brandt stringe gli occhi mentre parla. Perché è un timido.
Eppure è uno degli attori più famosi della Germania. Regolarmente sugli
schermi nei panni del commissario Hanns von Meuffels, la critica lo
osanna, il pubblico lo adora, anche perché ha accettato spesso ruoli ai
limiti dell’impossibile. Tra cui quello di Günter Guillaume, la spia
dell’Est che travolse la carriera politica di suo padre, Willy Brandt.
Perché Matthias è figlio del cancelliere della Ostpolitik, icona della
socialdemocrazia europea. Quando parliamo, l’ultra- destra dell’Afd ha
già fatto il suo ingresso nel Bundestag.
La paura è uno dei ferri
del suo mestiere. Con questo voto la paura è tornato ad essere un tema
centrale in Germania… «La paura è onnipresente nella psiche di questo
Paese. Il risultato di queste elezioni poggia chiaramente sulla paura.
Anche se c’è un elemento di irrazionalità, l’esito non cambia. Infatti,
io penso che queste paure non siano state prese abbastanza sul serio. E
quando vedo la rabbia dei quindicenni che fanno il saluto hitleriano,
allora sì, penso che la cosa mi riguarda ancora di più. È una cosa che
ha molto a che vedere con l’assenza di prospettive, soprattutto
all’Est».
Lei accettò di recitare in un film su suo padre. Ma
interpretò Guillaume, la spia della Ddr a causa del quale suo padre
dovette dimettersi. Perché?
«Lo so anch’io che era una scelta
bizzarra. All’inizio non dovevo nemmeno recitare: avevo ripetuto che era
assolutamente escluso che io vi potessi avere una parte. Ma quando mi
chiesero, per gioco, quale ruolo avrei scelto, risposi Guillaume: perché
è il personaggio di cui in assoluto so meno. Da bambino ovviamente
l’avevo conosciuto, ma per me non era nient’altro che una foto, quella
in cui sbircia da sopra la spalla di mio padre. Poi, certo, mi ha sempre
appassionato la figura dello spione: la doppia esistenza, l’avere due
forme di lealtà, era leale verso mio padre quanto lo era nei confronti
del suo committente, la Ddr. Una costellazione di elementi increbibile
per un attore».
In questi giorni il nome di Brandt si sente spesso.
«Ho
sempre vissuto abbastanza bene con la dimensione pubblica della sua
figura: certo, ho avuto anche la fase della ribellione, ma molto presto
ho capito che avevo a disposizione uno straordinario materiale umano per
il mio lavoro, e col tempo il mio sguardo su di lui è diventato più
tenero e amorevole. La sua importanza politica non è mai stata in
discussione. Oggi nell’Afd c’è chi dice “dobbiamo essere orgogliosi di
quello che hanno fatto i soldati tedeschi durante la guerra mondiale”.
Di fronte a questo io posso solo dire che non sono affatto orgoglioso di
chi ha condotto una guerra di annientamento. Conosco tante persone che
hanno sofferto molto perché avevano genitori complici del nazismo. Io
invece so bene dove stava mio padre. E per questo gli sarò grato per
sempre».