Repubblica 27.9.17
Otto Schily
“Niente processi ma il futuro sarà senza Schulz”
intervista di Roberto Brunelli
BERLINO.
Otto Schily parla con una voce limpida e forte. Niente male per i suoi
85 anni. Avvocato in prima linea negli anni di piombo, co-fondatore dei
Verdi, poi esponente di primissimo piano della Spd, ministro degli
Interni dal 1998 al 2005: la storia politica della Bundesrepublik l’ha
attraversata tutta. Spesso la sua è stata una voce scomoda. Lo è anche
oggi.
Schily, la Spd è stata travolta dall’onda nera, a quanto pare seguendo il destino degli altri partiti della sinistra europea.
«Sono
molto preoccupato. Per quel che riguarda la Spd, quella di passare
all’opposizione è la decisione giusta. Dinnanzi a una sconfitta così
disastrosa non si può pensare di tornare al governo. Non è pensabile che
l’opposizione in Germania sia guidata da una formazione di estrema
destra. Al tempo stesso, penso che la Spd debba ricostruirsi, sia dal
punto di vista programmatico che da quello del personale. Deve
rinascere. Quando la leadership di un partito perde di seguito tre
elezioni regionali e una nazionale, ci deve essere un rinnovamento ».
Vuol dire che Schulz si dovrebbe dimettere?
«Nessuno
vuole un processo a Schulz. Ma il partito deve ringiovanire. Guardate
ai liberali di Lindner. Un leader giovane, un personaggio un po’ alla
Macron, per intendersi, uno che ha tutt’altro approccio alla politica. I
socialdemocratici devono ricostruire un profilo più forte, chiaro e
riconoscibile. Devono avere una strategia più incisiva su migrazione,
svolta energetica, sicurezza interna. Devono chiedersi come sia stato
possibile perdere i lavoratori: era un partito dei lavoratori
dell’industria, con un ruolo preciso tra orientamento di mercato e
responsabilità sociale. È in questa tradizione che vincevano le
elezioni, è lì che può tornare a vincere. Ma ci vogliono anni, non
bastano mesi».
Schulz subito dopo il voto ha attaccato Merkel come non aveva mai fatto durante la campagna elettorale.
«Non è stata una bella scena.
Perché
è apparsa evidente la contraddizione: dai temi europei alla crisi dei
migranti, la Spd ha condiviso pienamente la politica della cancelliera. E
ce n’erano di argomenti per contrastarla: sui profughi Merkel ha deciso
a livello nazionale, come una regina, e non a livello europeo come
avrebbe dovuto. Perché sono fenomeni che riguardano tutto il continente,
mica solo noi. Paradossi evidenti: lei era in grande difficoltà ma è
stata salvata dalla chiusura della rotta balcanica. Se fossero arrivate
in Germania due milioni di persone sarebbe caduta. Io penso che siamo
noi a dover decidere chi viene in Europa, non qualche banda di scafisti.
È necessario un ampio dibattito europeo, ci vuole un piano concertato.
Un po’ come successe quand’ero ministro con i profughi balcanici: ogni
Land disse quel che poteva fare, quanti ne poteva accogliere, e così fu
possibile assorbire moltissime persone».
Lei dice: ricostruire l’identità della sinistra. Mica facile.
«Tanto
per cominciare, non deve svicolare di fronte alle paure su cui si fonda
il consenso delle nuove destre. Le prime analisi mostrano che l’Afd è
stata votata soprattutto per la delusione nei confronti delle altre
forze politiche. È che certi temi non sono stati affrontati a viso
aperto. È naturale che nascano delle paure se alcune zone della tua
città cominciano ad apparirti estranee. Certo, va detto che
l’ultra-destra è cresciuta anche dove c’è meno migrazione, in
particolare all’Est: ovvio che le paure le hanno aizzate in ogni modo.
Allo stesso tempo, ci sono alcuni ceti più in difficoltà, come le madri
sole, magari con un magro stipendio e oberate dal fisco. Sono realtà
molto lontane dal paese delle meraviglie merkeliano, che la Spd ha
affrontato in modo troppo astratto».
Non le fa impressione che si sentiranno anche al Bundestag slogan degni del Terzo Reich?
«Certo.
Persone come Alexander Gauland e i suoi rappresentano un pericolo e un
grave danno per la buona reputazione della Germania. Ma non è escluso
che ad un certo punto l’Afd esploda, Frauke Petry ha già sbattuto la
porta. Questo dipende anche da noi, dalla nostra reazione democratica. I
temi sono strettamente connessi. La socialdemocrazia deve porsi come
un’alternativa vera, invece finora le differenze tra i partiti
tradizionali hanno finito per annullarsi a vicenda. Così la gente perde
l’orientamento. Una situazione che necessita di uno sforzo comune in
tutta Europa. Ed è anche un fenomeno che riguarda la sostanza culturale e
spirituale delle nostre società, il cui orizzonte è sempre più
desolato».