Corriere 27.9.17
«Non possiamo allearci con il Pd, sarebbe disastroso»
Intervista Massimo D’Alema al Corriere
«Mai alleati con il Pd. Pisapia si candidi e sia più coraggioso»
di Aldo Cazzullo
«Non
possiamo allearci con il Pd, sarebbe disastroso – dice Massimo D’Alema
al Corriere –. Pisapia faccia il leader, sia più coraggioso. Si voti con
il proporzionale; se non ci saranno maggioranze, si faccia un governo
del presidente, ultima spiaggia del sistema democratico. Renzi? Con le
persone in difficoltà sono generoso. Come fui con Craxi».
D’Alema, ma è Pisapia che deve candidare lei, o è lei che deve candidare Pisapia?
«Nessuno
dei due candida l’altro; devono essere i cittadini a farlo. Non ci si
candida; si viene candidati. Sono favorevole a coinvolgere i cittadini
attraverso le primarie. Il 19 novembre saranno eletti i delegati per
l’assemblea nazionale che sceglierà programma, nome e simbolo con cui ci
presenteremo alle elezioni. Lì si decideranno le regole con cui
decidere le candidature».
Pisapia dovrebbe candidarsi al Parlamento?
«Secondo me, sì. Sarebbe un leader più forte se si mettesse in gioco personalmente».
E lei tornerà alla Camera?
«Sono
uno dei pochi che dal Parlamento è uscito di propria iniziativa. Non
potrei, però, non prendere in considerazione una richiesta, se venisse
dai cittadini, di dare una mano alla campagna elettorale attraverso la
mia candidatura. Del resto, sono stato dismesso da presidente della
fondazione dei socialisti europei; è comprensibile che il mio ritorno
all’impegno politico comportasse questo prezzo».
Colpa di Renzi?
«Non lo so e non mi interessa. Sono arrivato a una certa serenità».
Insomma. Quest’estate ha detto: «Finché vivrò, Renzi non potrà mai stare tranquillo».
«Ho
detto sereno. Citavo la battuta che propinò al povero Letta. Tuttavia,
non lo ripeterei perché Renzi è in difficoltà e a me piace prendermela
con i potenti, non con chi è in difficoltà. Feci così anche con Craxi.
Dalla parte di Berlinguer sono stato ferocemente anticraxiano; ma quando
è cominciata la disgrazia di Craxi sono stato generoso con lui».
Quand’era premier tentò di farlo rientrare in Italia?
«Sì, per curarsi. Negoziai con la procura di Milano perché non lo arrestassero. Non fu possibile».
Rivede qualcosa di Craxi in Renzi?
«No.
A parte la palese differenza di statura politica, Craxi nonostante la
forte carica anticomunista è sempre stato un uomo di sinistra. Fu vicino
alla causa dei palestinesi, aiutò gli esuli cileni. Renzi alla sinistra
è totalmente estraneo. Non c’entra proprio nulla. Ritiene che il Pd
debba liberarsi di questo retaggio».
La sinistra è in crisi ovunque. L’Spd è al minimo storico, e i suoi voti vanno a destra.
«In
Germania si è manifestata anche una certa stanchezza per la grande
coalizione. Ma in molti Paesi europei si afferma una sinistra più
radicale: Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna, Corbyn in
Inghilterra. Tutto questo dovrebbe far riflettere i socialisti, che non
sono stati in grado di presentarsi come una forza alternativa alla
visione liberista dominante».
E in Italia?
«Il Pd ha
governato in modo non dissimile. Per questo c’è bisogno di una nuova
forza di sinistra. I grandi cambiamenti nascono sempre da un ritorno
alle origini, alle ragioni fondative: ridurre le disuguaglianze,
difendere la dignità del lavoro».
Ma lei sembra rinnegare la sua
storia politica. In Sicilia appoggia Fava, una candidatura di
testimonianza. Pare diventato movimentista. Non crede più ai partiti?
«Non
sono diventato movimentista. Vorrei che nascesse un nuovo, moderno
partito a sinistra. Non c’è dubbio che la forma del partito tradizionale
sia in crisi e si debbano trovare nuovi modi di partecipazione. Claudio
Fava non ha una storia gruppettara. Era il segretario regionale dei Ds
con Veltroni. L’hanno candidato i siciliani, e prenderà più voti delle
sue liste. Questo è uno strano Paese, in cui basta pronunciare la parola
“operai” per essere giudicati estremisti».
Pisapia viene da Rifondazione comunista. È un buon leader?
«Indipendentemente
dalla sua storia, Pisapia porta uno stile unitario, una cultura di
governo, una naturale ritrosia rispetto alle asprezze dello scontro
politico, che in un panorama dominato da leadership chiassose ne fa una
figura positiva. Dovrebbe essere un leader più coraggioso».
Vale a dire?
«Esporsi
di più. Prendere in mano il processo unitario. Spingersi in avanti. Non
possiamo permetterci di avere alla sinistra del Pd due liste in
conflitto tra loro sull’orlo della soglia di sbarramento. Sarebbe un
suicidio».
Non è stato un suicidio per la sinistra anche la vostra scissione?
«La
tesi per cui le difficoltà del Pd nascerebbero dal nostro massimalismo
non ha fondamento. La sconfitta del Pd è cominciata molto prima che noi
nascessimo. Non c’era stata nessuna scissione quando il gruppo dirigente
ha consegnato Roma e Torino ai 5 Stelle. Io ho fatto la campagna
elettorale per il candidato del Pd a Genova molto più del segretario. La
gente mi diceva: “È un bravo compagno, ma se lo voto do una mano a
Renzi”».
Lei al Corriere parlò di «rottura sentimentale».
«Immagine
profetica. L’idea che il Pd vincerebbe se non fosse per un gruppetto
bilioso e rancoroso, come si fa scrivere alla stampa di regime, è falsa.
Dicono che siamo nati per far perdere Renzi. Ma no, non c’è bisogno di
far nulla: basta lasciarlo lavorare e Renzi ci riesce da sé, come
dimostra il referendum. All’opposto, possiamo essere utili se riusciamo a
intercettare un elettorato che non vota più e non voterebbe mai Pd. Non
è vero che indeboliamo l’argine contro il populismo e la destra. Lo
rafforziamo».
Ma con il Pd non dovrete trovare qualche forma di accordo?
«Non
mi pare ci siano le condizioni per andare alle elezioni insieme. C’è
distanza sul programma e nel giudizio su quel che è accaduto in questi
anni. Nessuno capirebbe un accordo in queste condizioni e gli elettori
non ci seguirebbero. Presentarsi uniti nei collegi potrebbe essere un
disastro».
Ma la legge elettorale in discussione alla Camera i collegi li prevede.
«Quella
legge è un’indecenza assoluta: forse il punto più basso della
legislatura. Spero venga spazzata via. Ha aspetti aberranti, a mio
giudizio palesemente incostituzionali, con il rischio che la Consulta
bocci la terza legge elettorale di fila. Ed è incredibile che a proporre
una legge fondata sulle coalizioni sia il Pd: un partito che non è in
grado di formare coalizioni. Una cosa che non si può giudicare senza
l’ausilio dell’aureo libretto del Cipolla».
«Le leggi fondamentali della stupidità»?
«Dove
si legge che la forma più alta di stupidità è danneggiare gli altri
danneggiando anche se stessi. La legge è concepita per far danno a noi e
forse ai 5 Stelle; ma il principale danneggiato sarebbe il Pd.
Favorirebbe solo un centrodestra a trazione leghista».
Non potete dire solo no. Quale sistema elettorale vorreste?
«Noi
abbiamo sempre proposto la legge Mattarella. Ma, se non è possibile, è
inutile fare pasticci, tanto vale votare con una legge proporzionale —
sbarramento, collegi piccoli, voto di preferenza — che restituisca il
quadro reale del Paese. Non sono un fan delle preferenze, però la nomina
dei parlamentari da parte dei partiti è intollerabile».
Ma non ci sarebbe alcuna maggioranza. Quale governo si potrebbe fare?
«Neanche
il Rosatellum garantisce maggioranze. Comunque, prima di emettere
questa sentenza bisognerà aspettare cosa voteranno gli italiani. Se non
ci fosse alcuna maggioranza, le forze politiche che vorranno salvare la
democrazia dovranno sostenere un governo che sia al di sopra delle
parti, e garantisca una seria riforma del sistema. Condivisa, non
imposta da qualcuno un modo improvvisato».
Un governo tecnico?
«Diceva
Giovanni Sartori che quando la democrazia parlamentare non produce una
maggioranza entra in funzione il motore di riserva: il governo del
presidente, che possa avere largo consenso al di sopra degli
schieramenti. L’ultima spiaggia per il sistema democratico».
Il vostro non rischia di essere il partito dei reduci?
«No. Abbiamo un sacco di ragazzi. Un bel pezzo dei giovani democratici sono passati con noi».
Nomi?
«Roberto
Speranza che dirige Mdp è più giovane di Renzi. Abbiamo gruppi
dirigenti giovani in tutto il Paese. Non mi sembra che il Pd abbia
questo consenso nella nuova generazione».
Non è stato ingeneroso dire che il suo ex braccio destro Minniti in Libia ha fatto le stesse cose di Berlusconi?
«Minniti
è uomo capace e competente. Conosce molto bene gli apparati dello
Stato, e ne è stimato: il che è importante, perché questi apparati sono
bravi a raggirare la politica, facendo credere al ministro di guidare
mentre alla guida sono loro. Ma, sotto la spinta di quella che
esagerando ha definito una minaccia alla democrazia, Minniti ha preso
misure che hanno lasciato i migranti nelle mani delle milizie libiche,
in campi di detenzione dove avviene ogni genere di violazione dei
diritti umani: stupri, torture, assassini. E’ stato un voltafaccia
dell’Italia. Un respingimento collettivo anche di persone che hanno
diritto d’asilo. Minniti è stato efficace; ma mi chiedo quale sia il
prezzo della sua efficacia. Sarò inguaribilmente romantico. Sarò uno di
sinistra. Minniti dice di essere tormentato. Ma lui è ministro: dovrebbe
agire per mettere riparo alle conseguenze delle sue decisioni».
Se la legge elettorale andrà avanti, farete cadere Gentiloni?
«Gentiloni
è alla fine. Noi siamo persone responsabili, non vogliamo fare la
campagna elettorale con la trojka. Mi sembra molto meno responsabile chi
pretende da noi i voti per governare e poi fa la legge elettorale con
Salvini».