mercoledì 27 settembre 2017

Corriere 27.9.17
L’altra sinistra condizionata dai rapporti con il governo
di Massimo Franco

La marcia di Giuliano Pisapia verso la formazione di una sinistra alternativa al Pd continua a procedere tra una nebbia di diffidenza e incertezza. Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo e ex presidente della Commissione europea, doveva esserne una sorta di padre nobile, o regista. In realtà, in due mesi si è allontanato molto dal partito di Matteo Renzi; ma sembra anche defilato rispetto al progetto dell’ex sindaco di Milano: almeno pubblicamente. «Io non lo sento lontano», sostiene. «Credo che anche Prodi pensi a un nuovo centrosinistra».
Il problema è capire se è quello che appare e scompare intorno alla leadership di Pisapia. L’impressione è che si renda conto sempre di più di avere davanti una sfida difficile e dall’esito non scontato. E questo promette di indebolire tutto il suo progetto di ricucitura a sinistra. Pisapia si ritrova a fare i conti con il Movimento dei democratici e progressisti di Pier Luigi Bersani e di Massimo D’Alema; con la loro disponibilità e insieme con le loro diffidenze.
Bersani mostra di essere pronto a riconoscere al capo di Campo progressista il ruolo di «federatore». L’ex segretario ha ripetuto ieri che «è l’uomo giusto perché può interpretare una realtà che non si aspetta l’uomo solo al comando». Lo vede come una persona in grado di rianimare un’area politica lacerata; e di proporsi come alternativa a Matteo Renzi. Il problema è che all’interno di Mdp Bersani incarna un’ala moderata ma in qualche modo minoritaria. Dopo la scissione dal Pd, la sua idea è di allargare il più possibile il numero degli alleati, senza creare una ridotta dei frammenti delle sinistre.
Ma a pesare di più è la componente dalemiana, radicata a livello locale e scettica nei confronti di alcuni gesti di Pisapia. La disponibilità a riconoscergli il primato c’è e non c’è. E la partecipazione dell’ex sindaco di Milano a molte feste dell’Unità, e la cordialità ricambiata con alcuni dirigenti Dem, è stata vista come una concessione eccessiva alla cerchia renziana: sebbene la sua intenzione fosse di parlare ai militanti, non alla nomenklatura; e sebbene abbia ribadito di non volere un centrosinistra con Renzi perché «serve discontinuità».
«Non lo sento da sei mesi e gli ho detto che la mia visione è diversa dalla sua», perché sta facendo «cose di centrodestra», ha dichiarato ieri in tv. Rimane da capire se basterà.
Ristagna un alone di non detto, destinato a ritardare il ricompattamento di tutta l’area a sinistra del Pd. Non solo. Mdp pone come condizione l’inclusione nell’alleanza di Sinistra italiana. Ma Pisapia teme che la scelta nasconda un atteggiamento di rottura col governo di Paolo Gentiloni, che lui ritiene opportuno incalzare ma anche sostenere. Siamo ancora nella fase del leader virtuale.