Repubblica 27.9.17
Caso Consip, il triplo gioco intorno a Matteo Renzi
di Carlo Bonini Giuliano Foschini
Anche
il capitano Scafarto doveva seguire De Caprio. Che dopo ogni messa
incitava i suoi a fare “come gli Apache, bisogna apparire e svanire”
Fuori da ogni regola, i militari trasferiti dal Noe ai Servizi con
Ultimo vengono chiamati a togliere le cimici installate per conto della
procura
La trama dell’affare Consip raccontata da Carlo Bonini. In tre puntate tutti i filoni d’inchiesta
ROMA
SERGIO De Caprio è un cane senza padrone. Forse perché, in fondo, non
può averne. Se ne accorgono presto anche all’Aise, la nostra agenzia di
spionaggio, dove è transitato nel 2016 dopo aver lasciato il Noe, di cui
è stato vicecomandante. Per mesi, subito dopo il suo arrivo in Aise, la
domenica mattina partecipa alla messa che viene celebrata per il
personale nella sede di Forte Braschi. Attende regolarmente che la
cerimonia si concluda e, a chiosa della benedizione, prima che
l’ecclesia si sciolga, sale sul pulpito e pronuncia sentiti sermoni su
concetti come “la battaglia”, “il coraggio”, “la lealtà”. È uno
spettacolo che scombussola le routine felpate del Servizio. Soprattutto
che annuncia grane. Anche perché il patto che ha consentito di chiudere
la vicenda Noe viene sostanzialmente onorato dal direttore dell’Aise
Alberto Manenti e dal Comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette.
SEGUE ALLE PAGINE 10 E 11
CON
LA BENEDIZIONE del Governo Renzi, che quell’accordo ha vidimato nella
convinzione che consenta di prendere due piccioni con una fava.
Sciogliere l’anomalia di un Reparto di fatto fuori controllo, senza
umiliarne il simbolo, il colonnello Sergio De Caprio. Anzi,
reimpiegandolo e riguadagnandone la leale riconoscenza.
Dei 34
uomini che Ultimo ha chiesto lo seguano al Servizio ne ottiene 23. Di
questi, 19 provengono dai ranghi del Nucleo operativo ecologico, il Noe.
«Nei momenti duri – ripete spesso Ultimo citando un motto di saggezza
Apache – ho pensato spesso alle tecniche di combattimento degli indiani
d’America: apparire e svanire, essere pochi e sembrare tanti».
È
più o meno quello che intende fare in Aise con la Sicurezza interna di
cui gli è stato affidato il comando. Ma è anche, più o meno, quello che
accade con ciò che si è lasciato alle spalle: il Noe. Se si chiede
all’avvocato che assiste Ultimo, Francesco Antonio Romito, vi dirà che
De Caprio chiude con il Noe il giorno in cui firma la sua lettera di
commiato. In realtà – almeno se si deve stare non tanto alla logica ma
alle evidenze dell’inchiesta della Procura di Roma – quel filo che lo
lega al suo passato resta saldo come la gomena di una nave. E non solo
per il rapporto di stima e amicizia che lo lega al pubblico ministero
napoletano Henry John Woodcock, che dell’inchiesta Consip è il dominus.
Ma perché l’ufficiale cui sono delegate le indagini, Gianpaolo Scafarto,
è in predicato (e per un certo periodo la sua posizione verrà trattata
tra Aise e Arma) di seguirlo in Aise. Dove non è chiaro perché non
arrivi. A meno di non voler credere a quello che racconta agli amici lo
stesso Scafarto quando parla di «ragioni familiari».
Del resto, e
solo per dirne una, per capire l’osmosi tra quel pezzo di Noe transitato
in Aise e i carabinieri che al Noe invece sono rimasti, basterebbe
ricordare un dettaglio. A dispetto di ogni prassi e regola che
disciplina la separatezza assoluta tra polizia giudiziaria e
Intelligence, a un certo punto dell’inchiesta Consip è necessario
togliere delle cimici che in origine sono state installate da
Carabinieri poi passati al Servizio. Ed è agli uomini di De Caprio,
ormai in carico al Servizio, che il Noe chiede aiuto. *** Tra la
primavera e l’autunno del 2016, quando le pedine del Grande Gioco hanno
trovato una nuova disposizione sullo scacchiere (De Caprio e i suoi 23
in Aise, Scafarto e chi ancora gli è fedele nel Noe), l’affaire Consip
da palla di neve si fa valanga. L’inchiesta che ha in gestazione il pm
Henry John Woodcock dovrebbe essere protetta da un segreto ermetico. In
realtà nei giri che contano se ne conosce l’esistenza e la potenziale
ricaduta politica. Le redazioni dei quotidiani, già alla fine della
primavera, raccolgono voci insistenti di una «scossa» che arriverà da
Napoli e travolgerà Renzi. Già prima dell’estate – come testimonieranno i
vertici Consip nell’inchiesta della Procura di Roma e prima ancora in
quella di Napoli – cominciano gli spifferi che dovrebbero mettere in
guardia il management dal coltivare rapporti con l’imprenditore
napoletano Alfredo Romeo (che poi verrà arrestato nel marzo 2017).
Dice
a Repubblica una qualificata fonte inquirente dell’inchiesta Consip:
«Quando l’inchiesta napoletana raggiunge la sua massa critica, è
evidente che qualcuno ritiene che l’occasione sia troppo ghiotta per non
essere sfruttata. Le notizie napoletane coperte da segreto, al mercato
della benevolenza della Politica, valgono un tesoro. Chi avviserà per
primo del pericolo che grava sulla Presidenza del Consiglio, sa che ne
avrà in cambio riconoscenza. E sono almeno tre i canali attraverso i
quali il segreto di Consip diventa un segreto di Pulcinella e viene
consegnato alla Politica».
Uno – per stare alla testimonianza di
Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip, passa attraverso il
vertice del Comando generale dell’Arma. «Il presidente di Consip, Luigi
Ferrara, mi disse di aver appreso, in particolare dal Comandante
generale dei Carabinieri Tullio Del Sette, che c’erano indagini che
riguardavano Alfredo Romeo, dicendogli di stare attento». Un altro passa
asseritamente attraverso il generale Emanuele Saltalamacchia,
comandante dell’Arma in Toscana, anche lui indicato da Marroni come
fonte diretta della “soffiata” sull’esistenza di un’inchiesta. Il terzo
canale è quello di Palazzo Chigi, nella persona di Luca Lotti, il più
fedele tra i fedelissimi di Matteo Renzi, oggi ministro dello Sport,
allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio. «Nel luglio 2016 –
ha messo ancora a verbale Marroni - l’onorevole Luca Lotti, che io
conosco, mi ha detto di stare attento perché aveva appreso che vi era
una indagine sull’imprenditore Romeo di Napoli e sul mio predecessore
Casalino, dicendomi espressamente che erano state espletate operazioni
di intercettazioni telefoniche e anche ambientali, mettendomi in guardia
».
Ora, se è vero, come è vero, che i depositari dei segreti
Consip sono formalmente solo il pm Woodcock e il capitano del Noe
Scafarto, è evidente che in questa fase almeno uno dei due rende il
segreto meno ermetico.
Chi? E perché?
***
Woodcock,
oltre all’assenza di evidenze che lo indichino come origine della fuga
di notizie a beneficio di Palazzo Chigi, è escluso dalla logica. Svelare
il segreto politico di Consip sarebbe stato un autolesionistico
controsenso. Dunque, resta il capitano del Noe Scafarto. E in effetti
l’uomo chiacchiera. Non certo con interlocutori politici con cui non ha
rapporti. Sicuramente con la sua catena gerarchica. Con il vice
comandante del Noe, il colonnello Alessandro Sessa. Al punto da temere –
come documentano gli sms nella loro chat – che Sessa a sua volta ne
abbia parlato con il comandante del Noe o con il Capo di Stato maggiore,
Gaetano Maruccia. «Signor colonnello - è scritto in uno dei messaggi
agli atti dell’indagine, collocato temporalmente nei giorni degli
ascolti disposti da Napoli del padre del presidente del Consiglio,
Tiziano Renzi - sono due giorni che io penso continuamente a queste
intercettazioni e alla difficoltà di portare avanti queste indagini con
serenità. Credo sia stato un errore parlare di tutto col capo attuale e
continuare a farlo. La situazione potrebbe precipitare con la fuga di
notizie». E che sia, del resto, l’accoppiata Scafarto- Sessa l’anello
debole della catena che dovreb- be custodire il segreto di Consip è
confermato anche dai timori dei due circa le possibili reazioni di
Woodcock. «Vi faccio passare un guaio», li ha avvisati, temendo che
qualcosa dell’inchiesta venga riferita alla catena gerarchica (dunque al
vertice del Noe o al vertice del Comando generale).
È un fatto che il segreto di Consip tra la primavera e l’estate del 2016 non è più tale e che il gioco può cominciare.
***
Sulla
prima partita che si gioca intorno alla gallina dalle uova d’oro
chiamata Consip - quella cioè che vedrebbe l’Arma offrire il segreto
politico dell’indagine a Palazzo Chigi – l’istruttoria della Procura di
Roma e le testimonianze raccolte da
Repubblica compongono un
puzzle dove la parola dell’uno (gli accusatori) è smentita dalle parole
dell’altro (gli accusati). Del Sette nega di aver mai riferito di Consip
nei termini in cui ne parla Marroni. Il generale Maruccia nega di aver
mai riferito a Del Sette dell’indagine Consip e soprattutto di aver mai
appreso dalla catena gerarchica del Noe tanto il risvolto politico di
quell’inchiesta, tanto delle intercettazioni in corso a carico di
Tiziano Renzi. Luca Lotti continua a trincerarsi da un anno dietro a
un’affermazione radicale – «non ho mai saputo nulla dell’indagine su
Consip da nessuno» – e alla scelta di non offrire alcuna spiegazione
plausibile del perché venga accusato da chi lo saprebbe innocente, se
non indicando un generico “risentimento politico” maturato negli anni
fiorentini da parte dei suoi accusatori.
È un dato oggettivo che
la fuga di notizie ci sia stata perché ne è prova l’inefficacia delle
intercettazioni telefoniche disposte dalla Procura di Napoli (Tiziano
Renzi viene messo in guardia dal parlare). Ed è solido e plausibile il
movente per cui alti ufficiali dell’Arma avrebbero offerto
quell’informazione riservata conoscendone il valore e il possibile
ritorno in termini di carriere. A maggior ragione in un momento di
annunciato passaggio di consegne del Comando generale dell’Arma.
***
Del
resto, che la partita che si gioca nell’Arma, fuori e dentro, sia
decisiva è dimostrato anche da un’altra circostanza. Consip – ma meglio
sarebbe dire la piega che inopinatamente prende l’inchiesta quando ai
risvolti politici del coinvolgimento del cerchio magico renziano si
sommano quelli della fuga di notizie dal Comando generale - è
l’occasione per saldare davvero il conto aperto nell’estate del 2015 con
la riconduzione all’ordine del Noe. Il coinvolgimento di Del Sette è
qualcosa che sembra sorprendere persino gli stessi Scafarto e Woodcock.
Ma una volta che quel coinvolgimento c’è stato (la confessione di
Marroni), il capitano del Noe ne coglie l’effetto dirompente e
definitivo. In un sms mandato a Ultimo il 22 dicembre 2016, giorno in
cui il Fatto dà notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di
Del Sette per rivelazione di segreto d’ufficio, scrive: «Ride bene chi
ride ULTIMO».
Già, anche perché quella notizia cade con un timing
devastante per il Comandante generale. Il 23 dicembre, poche ore prima
che il Consiglio dei ministri si riunisca per deliberare sulla sua
proroga di un anno nel comando (decisione che verrà congelata per
qualche mese). Del Sette è irrimediabilmente azzoppato. E con lui è
azzoppato quel generale Saltalamacchia che Renzi, nella primavera 2016,
aveva immaginato ai Servizi e che qualcuno riteneva in rampa di lancio
per la successione di Del Sette.
*** Abbiamo detto tuttavia che le
partite sono diverse. Ce n’è una che riguarda i Servizi, la Politica e
che ha un indiscusso protagonista: il capitano Gianpaolo Scafarto. Sono
ormai inoppugnabili (e riconosciuti persino dall’interessato) i due
macroscopici falsi che manipolano l’informativa del Noe alle procure di
Napoli e Roma che deve accreditare due verità di grande impatto
politico. La prima: gli incontri tra Romeo e il padre di Renzi (in
un’intercettazione la circostanza, sotto forma di involontaria
confessione viene attribuita all’imprenditore napoletano, mentre a
parlarne è l’ex deputato Italo Bocchino, che di Romeo è consulente)
devono confermare l’interessamento politico di Palazzo Chigi per
tutelare “un imprenditore amico” cui sarebbe stato persino proposto il
salvataggio del quotidiano di partito, l’Unità. La seconda: il
presidente del Consiglio, violando ogni regola, ha coinvolto i Servizi
segreti del paese per far deragliare l’inchiesta del Noe, spiarne le
mosse e dunque mettere al riparo se stesso e suo padre (la circostanza
viene accreditata con la falsa presenza di operativi dell’Aisi, il
nostro controspionaggio, sulla scena delle operazioni del Noe. Peccato
che il Noe sappia siano ignari cittadini).
Perché Scafarto fa
mosse così catastrofiche? La spiegazione che dà il capitano sembra buona
solo per chi vuole bersela: la fretta di mettere insieme in meno di tre
settimane l’informativa finale sul lavoro di un anno.
In realtà,
Scafarto ha due altre ottime ragioni, in quella piccola e ambiziosa
partita che si gioca in proprio. Una ha a che vedere con la
consapevolezza che offrire a Woodcock quello che Woodcock vuole sentirsi
dire non potrà che farlo crescere ai suoi occhi quale “nuovo Ultimo”
del Noe, assicurandogli un posto al sole come l’ufficiale che ha
abbattuto l’uomo più potente del Paese. Una seconda ottima ragione per
violare le regole – come ad esempio trasmettere all’Aise via mail
notizie di Consip coperte da segreto – ha invece a che vedere con
l’altra possibile strada che la carriera di Scafarto potrebbe infilare:
l’approdo all’Aise. Se è vero infatti che delle due mail inviate a Forte
Braschi, la prima è sollecitata dal Servizio che vuole verificare un
nominativo presente nelle carte perché appartenente a un servizio
estero, la seconda è invece fuori sacco. Il file “Mancini.docx” («Sempre
per il capo» scrive Scafarto ai due suoi ex colleghi ora all’Aise,
perché lo girassero a Ultimo)ha infatti a che fare con il nuovo lavoro
di De Caprio – il controllo della fedeltà degli uomini delle Agenzie di
intelligence - e cioè con l’uomo individuato come il problema da
risolvere una volta per tutte nei Servizi. Quello che, a torto o a
ragione, si vorrebbe potenziale terminale o motore di temuti ricatti
interni. In quella mail, si svela infatti il rapporto tra Italo Bocchino
e Marco Mancini, documentato da intercettazioni telefoniche alcune
delle quali non allegate agli atti “ufficiali” di indagine, e dunque si
allunga l’ennesima ombra sull’ultimo dei pollariani nella nostra
Intelligence, il custode dei segreti di quella stagione. De Caprio –
deve pensare Scafarto – gli sarà riconoscente. L’avvocato di Ultimo,
Francesco Antonio Romito, assicura che quelle mail forse non sono state
neppure lette. «Certamente non le ha sollecitate».
*** In questo
groviglio dove nessuno, com’è evidente, dice tutta la verità o, meglio,
ne propone forse solo un brandello, quello necessario a chiamarsi fuori,
si comprende la decisione senza precedenti con cui il 17 luglio scorso
il Governo decide di estromettere in blocco dall’Aise De Caprio e i suoi
23 uomini in un’unica soluzione. Restituendoli all’Arma.
Nessuno
infatti, né a Forte Braschi né all’Arma, il cui vertice si è dimostrato
non in grado di governare neppure il Noe “bonificato” da Ultimo, è in
grado di garantire cosa e quali segreti possano saltare fuori dalla
deflagrazione del rapporto Woodcock-Ultimo-Scafarto (hanno lavorato
insieme per anni. Sono seduti su un patrimonio di notizie riservate che
non necessariamente sono finite in atti giudiziari). Soprattutto dopo
che, il 16 luglio, il procuratore di Modena, Lucia Musti, ha accusato
davanti al Consiglio superiore della Magistratura, i due ufficiali
mettendo insieme due storie che nessuno voleva leggere insieme:
l’inchiesta Cpl Concordia e Consip.
Nessuno è in grado di correre
il rischio di essere chiamato a pagare per intero il prezzo
dell’infernale partita che si è giocata su Consip. E di cui, per dirne
una, si è già avuta un’evidenza. Dopo le dimissioni di Matteo Renzi a
seguito della sconfitta referendaria, si immagina per Luca Lotti
l’incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega
all’Intelligence, casella lasciata libera da Marco Minniti destinato al
ministero dell’Interno. Ebbene, Lotti, su quella poltrona non siederà
mai. Il 12 dicembre 2016 giura da ministro dello Sport, perché qualcuno o
qualche informazione, evidentemente, hanno sconsigliato di scegliere
quale terminale politico dei Servizi un uomo che sta per essere
fulminato da un’inchiesta di cui, sulla carta, nessuno dovrebbe ancora
sapere. E che avrà la sua discovery sulle pagine del Fatto quotidiano
solo di lì a una decina di giorni, tra il 21 e il 23 dicembre.
Paga
dunque Ultimo il conto. Per una partita più grande di lui che, forse,
ha pensato di poter controllare ma di cui non è mai stato davvero il
king maker. Il 19 luglio viene restituito all’Arma e destinato alla
Forestale con incarico “non operativo”. I suoi uomini – Aspide, Veleno,
Apache e tutti gli altri – vengono dispersi in piccoli comandi di
stazione, dalle Alpi e la Sicilia. Dietro a una scrivania.
E
dunque e di nuovo: è stato un complotto? No. Non lo è stato. Su Consip
si sono giocate tre partite per un triplo gioco, facendo sponda sul
destino politico di Matteo Renzi. Una partita nell’Arma, una nei Servizi
e una nel Governo. Nell’Arma, Scafarto e Ultimo hanno saldato i loro
conti con il vertice del Comando generale. Alti ufficiali di quel
Comando hanno intravisto un’occasione nei segreti politici
dell’indagine. Una partita nei Servizi, dove Ultimo ha mantenuto una
“doppia fedeltà”. Agli uomini del Reparto che aveva costruito a sua
immagine e somiglianza: il Noe. E al vertice tecnico e politico
dell’Intelligence. Una partita nel Governo, che ha condizionato nomine
chiave e aperto un solco di diffidenze reciproche dentro il Pd, dove per
molto tempo Marco Minniti e Luca Lotti si sono contesi l’attenzione di
Renzi sulle questioni riguardanti la sicurezza nazionale. Un garbuglio
non ancora sciolto che, c’è da scommetterci, tornerà a far capolino in
campagna elettorale.
( 2. fine)