mercoledì 27 settembre 2017

Repubblica 27.9.17
Ma Gentiloni non si arrende “Punto all’asse col Vaticano”
Il premier deciso ad andare avanti: il 4 ottobre parteciperà alla festa di San Francesco e parlerà di inclusione
di Goffredo De Marchis

ROMA. Il pressing continuerà. «Quante volte Alfano ha detto che le unioni civili non sarebbero mai passate? Oggi sono legge », è il ragionamento di Paolo Gentiloni. Non è finita finchè non è finita, dunque, secondo il motto del campione di baseball degli Yankees Yogi Berra. Il no definitivo di Alternativa Popolare, visto da Palazzo Chigi, non chiude i giochi. Certo, non li facilita. Ma che sarebbe stata dura si sapeva anche prima. Il punto è che ora le speranze si riducono. Eppure il premier non vuole dichiarare la resa. Punta tutto sull’asse con il Vaticano e sul tempo, che corre veloce verso le elezioni ma lascia ancora margini di manovra. Papa Francesco ha sposato la linea sui flussi migratori adottata da Marco Minniti e allo stesso tempo insiste sullo ius soli. Lo confermano le parole del presidente della Cei Gualtiero Bassetti. Gentiloni si prepara a mette un altro mattoncino fra una settimana.
Il presidente del Consiglio sarà il 4 ottobre ad Assisi per la festa di San Francesco. Terrà il “discorso alla Nazione” sotto la Basilica, in diretta tv. Ci sarà il segretario di Stato della Santa sede Pietro Parolin, ci saranno i frati del convento e in quell’occasione solenne Gentiloni pronuncerà un intervento sull’inclusione e sull’integrazione. In pratica, la difesa dello ius soli. Un modo anche per spiegare meglio il senso della norma, per far capire che la cittadinanza non viene regalata. È destinata dunque a salire pressione del mondo cattolico sui centristi, che a quel mondo fanno riferimento, così come i loro elettori.
L’idea di non mollare, nonostante le dichiarazioni post direzione di Ap, è condivisa da Matteo Renzi. Il segretario del Pd ha delegato il dossier sulla cittadinanza al premier. Ripete che «decide Paolo e quello che decide lui va bene al Pd». Chi gli ha parlato nel pomeriggio lo ha trovato determinato ad andare fino in fondo. A prescindere dai sondaggi. «Quando una legge è giusta si fa di tutto per approvarla. Altrimenti tanti altri provvedimenti non sarebbero andati in porto».
La tattica di Pd e governo resta l’attesa. Ma prima o poi arriverà il momento della verità. Se Gentiloni fa sapere di non essere irritato per la dura presa di posizione dell’alleato e Renzi lascia la parola all’esecutivo, nel Pd non si nasconde il fastidio. «Per me resta impossibile non approvare una legge che si considera giusta», dice il capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda, l’uomo che deve cercare i consensi «uno per uno, nome per nome» secondo il mandato affidatogli dal premier. «Non si vota dopodomani sullo ius soli. Affronteremo il problema quando si presenterà concretamente », spiegano a Palazzo Chigi. «L’impegno a provarci rimane, io non tolgo la cartellina dal tavolo », dice Gentiloni ai suoi collaboratori.
Il “come” resta un mistero, ancora più profondo dopo le parole di Alfano e Maurizio Lupi. Il “quando” invece emerge tra le righe dei commenti di ieri. Palazzo Chigi aveva immaginato di mettere ai voti la legge a metà novembre, una volta ottenuto il via libera di Palazzo Madama alla finanziaria. Mancano più di 40 giorni al passaggio finale. Cosa può succedere di nuovo?
Si cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. In fondo, il leader di Ap ha ripetuto che la legge è buona, solo che capita «nel tempo sbagliato». Ma ai centristi bisogna guardare per forza se si vuole coltivare la speranza. La provocazione di Matteo Richetti, portavoce del Pd, serve infatti a dimostrare che l’impegno non svanisce, che non si alza bandiera bianca. I voti «cercati altrove» però semplicemente
non esistono. Servono quelli di Alfano.
L’unica strada per l’approvazione è quella della fiducia, mettendo in gioco la vita del governo. Non si può ipotizzare dunque il soccorso di gruppi fuori dalla maggioranza di governo. Ap dovrebbe votarla prima in consiglio dei ministri e poi al Senato. In una situazione di difficoltà per le tensioni interne. Quei numeri continuano a non esserci, a maggior ragione da ieri. Possono cambiare il quadro solo il tempo, gli equilibri politici in vista delle elezioni e «il richiamo morale», come dicono a Palazzo Chigi, della Chiesa. La scommessa è che Ap ne debba tenere conto.