Repubblica 26.9.17
Dietro il tedio che spesso ci coglie c’è solo depressione o anche creatività?
Dalle ore di scuola a Moravia e Pascal il segreto della noia
di Marco Belpoliti
«Ora
di lezione: Drin drin drin/ Disciplina!/ Concentrazione!/
L’insegnante!/ Ancora 35 minuti/ Ancora 34 minuti/ Ancora 32 minuti
(...) / Numeri, date, concetti!/ Incomprensibile/ Ancora 20 minuti/
Ancora 19 minuti/ (…) Il tempo diventa come una gomma da masticare/
Ancora 3 minuti/ Ancora 2 minuti. Ancora 1 minuto/ Aahh!/ La prossima
ora ti attende!». La poesia di un liceale tedesco, riportata da un
sociologo, rende bene il tempo scolastico: non passa mai.
Nonostante
l’impegno degli insegnanti, a scuola ci siamo annoiati tutti. Per
fortuna adesso c’è il cellulare con cui affrontare quella che Heidegger
chiama la “noia occasionale”, che colpisce quando il tempo degli orologi
e il tempo vissuto non coincidono, ovvero spessissimo. La ministra
dell’Istruzione, che viene da una vita di estenuanti riunioni sindacali,
deve conoscere bene il potere distruttore della noia, altrimenti non
avrebbe proposto di usare gli smartphone in classe per vivacizzare le
lezioni. Dopo questa riforma probabilmente non ci saranno più poesie
come quella dello studente. Tutti chini sullo schermo a inseguire il
mondo là fuori: amici, genitori, siti, canzoni, youtube, tutto sarà a
portata di dito, se non lo è già, dato che nelle classi il cellulare
c’è.
La noia s’aggiorna? Heidegger, che di questa tonalità
affettiva se ne intendeva, tanto da farne uno dei fondamenti della sua
filosofia alla pari dell’angoscia, aveva in serbo due altre nozioni: la
noia non-occasionale e la noia profonda. La prima è quella che ci
colpisce quando, dopo una cena con amici, ci sentiamo di aver perso
tempo: una sensazione di non-so-cosa sgorga dal nostro intimo. La
seconda, più radicale, «va e viene nelle profondità dell’esserci, come
una nebbia silenziosa, accomuna tutte le cose, tutti gli uomini, e con
loro noi stessi in una strana indifferenza».
Questa è la noia che
ci rivelerebbe a noi stessi e ci porrebbe, a detta di Heidegger, la
domanda fondamentale: perché c’è qualcosa e non il nulla? Provare la
noia radicale ci trasforma in filosofi? Non è lontano dal vero, se
Wittgenstein nel Tractatus ha detto che un problema filosofico ha questa
forma: «Non riesco ad orientarmi». Da cui si capisce che la noia, come
nel caso della poesiola del liceale, apre al pensiero, alla riflessione,
ovvero alla filosofia. Però questo non accade sempre. In effetti non è
facile muoversi dentro quella “nebbia silenziosa”, come sa bene Dino, il
protagonista della Noia (1960) di Alberto Moravia, che all’inizio del
romanzo parla anche lui della noia come di una nebbia, e pure Unamuno,
che ha intitolato un suo libro narrativo Nebbia (1914), dove racconta il
“male di vivere”. Cos’è esattamente la noia? Insoddisfazione, senso di
vuoto, indifferenza, disinteresse, tedio, pigrizia, sono alcuni degli
stati d’animo prodotti dalla noia. Il tempo non passa mai, e si prova un
senso d’insensatezza, un dispiacere incomprensibile. A lungo non si è
distinta la noia dalla malinconia e dalla depressione; gli psichiatri
hanno identificato la noia con molto ritardo rispetto ad angoscia e
ansia, mentre era già chiaro ai Padri della Chiesa che la noia era uno
stato patologico, per loro provocato da un demone: il Demone meridiano.
Il monaco che nella sua cella invece di leggere le sacre scritture,
pregare o meditare, si distrae e infine mette il libro sotto il capo e
s’addormenta, è preda dell’accidia, che è l’antenato della noia.
“Accidia” sta per “senza cura”: indolenza, ignavia, pigrizia,
prosciugamento di ogni forza spirituale. “Noia” viene, come il francese
ennui, dal provenzale enoja e prima dal latino inodiare, cioè in odio
habere. La noia è «ciò che tiene in sospeso e tuttavia lascia vuoti».
Come
gli studenti sanno bene è il tempo quello che non scorre mai della
noia. Non è colpa degli insegnanti; ci mancherebbe altro! Il vero
problema è il tempo. Il tempo che passa, insieme con il senso stesso del
nostro esistere, domande imprescindibili: chi siamo? cosa ci facciamo
qui? Pascal è stato il primo che ha capito come stavano le cose,
collegando l’accidia dei monaci alla noia dell’uomo moderno. La noia è
un sentimento ontologico, riguarda cioè la natura stessa dell’uomo, il
suo “essere”, o invece è un sentimento legato alla storia sociale?
Entrambe le cose, si direbbe. Goethe ha detto una volta che ciò che
distingue gli uomini dalle scimmie è proprio la noia. Ma è anche vero
che la noia è diventata un problema sociale con la nascita dello Stato
assolutistico francese, quando la nobiltà fu privata dei suoi compiti
politici e giuridici per diventare una classe che s’annoiava. La noia
sorge là dove c’è una condizione economica favorevole, legata al
privilegio economico, dicono i sociologi. Le classi povere, i proletari,
non s’annoiano; si disperano piuttosto. La noia come patologia del
benessere?Probabile.
C’è poi un altro fattore che è legato allo
sviluppo delle nostre società postmoderne: la fine del lavoro manuale
tradizionale, la crescita del tempo libero, l’imporsi della “società
delle emozioni” con la ricerca di sensazioni sempre più forti. La noia
tallona da vicino l’uomo contemporaneo insieme all’ansia, alla
depressione e all’angoscia, sue sorelle. «Sono annoiato/ Sono annoiato/
Sono il presidente degli annoiati/ Sono stufo di tutti i miei
divertimenti/ Sono stufo di tutte le bevute/ Sono stufo di tutti i
cadaveri», canta Iggy Pop in
I’m bored. L’emblema contemporaneo
della noia è Andy Warhol. Nei suoi diari, uno dei libri più noiosi del
mondo, compare sovente la parola boring. «Mi piacciono le cose noiose»,
ha detto una volta Warhol. E tuttavia proprio con la noia è riuscito a
fare arte, un’arte adeguata ai nostri tempi: estetica, ripetitiva,
banale e insieme sorprendente.
Perché c’è un’altra noia ancora, la
noia creativa. Se non ci si annoia da ragazzi, non si diventa artisti o
scrittori? Probabile. Questa è un’altra storia ancora. Leopardi ha
scritto: «La noia è in qualche modo il più sublime dei sentimenti
umani».