martedì 26 settembre 2017

il manifesto 26.9.17
Quel sasso nello stagno lanciato da Pietro Grasso
Habemus Corpus. Dopo Noemi, 16 anni uccisa dal fidanzato, Elena, 48 uccisa dal marito, e poi ancora le violenze sessuali di Rimini, Firenze, Catania, Roma, a un uomo che è anche la seconda carica dello Stato è sembrato impossibile tacere
di Mariangela Mianiti


Dopo Noemi, 16 anni uccisa dal fidanzato, Elena, 48 uccisa dal marito, e poi ancora le violenze sessuali di Rimini, Firenze, Catania, Roma, l’omicidio di Nicolina, la quindicenne di Ischitella uccisa dall’ex compagno della madre per vendicarsi del fatto che lo aveva lasciato, a un uomo che è anche la seconda carica dello Stato è sembrato impossibile tacere. E così Pietro Grasso, presidente del Senato, venerdì scorso ha detto le seguenti parole.
«A nome di tutti gli uomini ti chiedo scusa. Finché tutto questo verrà considerato un problema delle donne, non c’è speranza. Scusateci tutte, è colpa nostra, è colpa degli uomini, non abbiamo ancora imparato che siamo noi uomini a dover evitare questo problema, a dover sempre rispettarvi, a dover sradicare quel diffuso sentire che vi costringe a stare attente a come vestite, a non poter tornare a casa da sole la sera. È un problema che parte dagli uomini e solo noi uomini possiamo porvi rimedio. Tutto ciò che limita una donna nella sua identità e libertà è una violenza di genere. Non esistono giustificazioni, non esistono attenuanti, soprattutto non esistono eccezioni. Finché tutto questo verrà considerato un problema delle donne non c’è speranza».
Viene da dire: «Finalmente. Bravo». E adesso? Adesso che un’autorevole voce istituzionale ha detto che il problema è degli uomini e non delle donne non ci sono più scuse per evitare il nocciolo della questione. Sono gli uomini a dover cominciare un lungo percorso di riflessione, discussione da soli e fra loro e ricostruzione del sè. Ovvio che la maggioranza non è così, ma finché non saranno gli uomini a prendere per gli stracci altri uomini, a dire che una relazione non è un esercizio di potere, che i corpi vanno amati e non usati o soppressi, finché ci saranno padri che danno esempi malsani, finché la cultura virilista striscerà nelle case, nelle famiglie, sui social, nelle amicizie, nel linguaggio, nella pubblicità, nei mezzi di informazione, nella politica, e finché di fronte a ciò si continuerà a far finta di niente, come dice Grasso: «Non c’è speranza».
Pochi giorni fa ho incontrato in un bar di Milano un gentile signore. Non ci conoscevamo, eppure abbiamo cominciato a chiacchierare proprio della violenza contro le donne. Quando gli ho espresso il mio pensiero, lui mi ha risposto: «Va bene. Ma come si fa? Come facciamo?». Gli ho risposto: «Come hanno fatto le donne con il femminismo. Si sono riunite, parlate, sono scese in strada, hanno riflettuto, scritto, protestato, lottato, preteso. Hanno messo in discussione rapporti personali e pubblici, hanno smontato un sistema di relazioni incancrenito e opprimente, insomma hanno fatto una rivoluzione. Se davvero non vi va bene questo andazzo, fatela anche voi una rivoluzione».
Mi ha guardato con sconcerto, poi ha aggiunto: «Però è vero che molte donne sono diventate dure e pretenziose, cercano solo quelli ricchi e vincenti, ci usano come bancomat e ci umiliano». Ha espresso frustrazione, probabilmente per situazioni personali, e proprio qui sta la chiave del problema. Quel che ha detto sarà anche vero per lui ma, invece di entrare nel merito, ha svicolato cambiando il punto di vista, ha spostato la visuale. Ci vuole molta voglia e determinazione per mettersi in discussione perché cambiare costa fatica. Quanti davvero lo vogliono? Quanti sono davvero disposti a osservare il proprio orticello? Quanti, dopo essersi indignati per le efferatezze altrui, sorvolano su peccati e abitudini personali? Pietro Grasso ha gettato un sasso nello stagno. Smuovere quell’acqua non sarà facile, ma non c’è alternativa.