Repubblica 21.9.17
Psoe e Podemos incerti E così si prende la scena l’ala dura indipendentista
di Alessandro Oppes
BARCELLONA.
Nel giorno più difficile, quello in cui il governo conservatore di
Mariano Rajoy ha deciso di percorrrere la via dello scontro frontale con
gli indipendentisti catalani, la sinistra spagnola si divide. Non è una
novità ma nel momento in cui si tratta di stabilire se, e in che modo,
schierarsi a difesa dell’unità nazionale e dell’ordine costituzionale, è
un gioco ad alto rischio. Pedro Sánchez e Pablo Iglesias, socialisti e
Podemos, due anime dello stesso spettro politico che non riescono a
trovare un punto d’intesa. Sánchez, tornato da poco alla guida del Psoe
con il risultato trionfale delle ultime primarie, dà mostra di senso di
responsabilità. Con molti distinguo, ma si schiera per il rispetto della
legalità, contro l’attacco alle istituzioni portato dalla convocazione
di un referendum che la Corte costituzionale ha dichiarato fuorilegge.
Per questo accetta, con qualche imbarazzo, l’invito di Rajoy alla
Moncloa, con il quale il premier ha voluto informare il leader
dell’opposizione sull’operazione di polizia senza precedenti realizzata
ieri mattina a Barcellona. Appoggiamo il governo, fa sapere, «anche
iquelle misure che risultano più diffcili da accettare».
Tutto il
contrario del leader di Podemos, che spara a zero contro l’ondata di
arresti parlando senza mezzi termini di «prigionieri politici». «Non è
sensato che questo accada in un Paese democratico - dice Iglesias -
Dobbiamo dare una risposta chiamando alla convivenza e al dialogo». La
posizione di Podemos sulla questione catalana è stata ambigua e
altalenante fin dalla fondazione del partito, tre anni fa. Forse anche
per la necessità di cercare la formula per ampliare la base di consenso
in una delle regioni chiave del Paese. Con l’ulteriore complicazione
derivante dal fatto che, nel Parlamento di Barcellona, il marchio
Podemos è annacquato all’interno di una coalizione sempre più litigiosa,
della quale fanno parte anche i Verdi (molto critici rispetto al modo
in cui è stato convocato il referendum) e la piattaforma civica
Catalunya en Comú della sindaca Ada Colau, combattuta fra i suoi doveri
istituzionali e l’adesione al principio del cosiddetto
dret a
decidir, il diritto dei catalani a decidere del proprio futuro. Una
causa che, ora, sembra risultare convincente anche per lo stesso
Iglesias che, comunque, ritiene ancora necessario un consenso nazionale
(cioè tra le forze politiche del Parlamento di Madrid) perché si possa
convocare un referendum di autodeterminazione in Catalogna con tutte le
garanzie legali.
I socialisti si rifiutano invece, per ora, di
parlare di referendum e hanno rilanciato, appena tre giorni fa, una
proposta destinata a riprendere corpo appena si saranno calmate le
acque: si chiama “commissione per la valutazione e la modernizzazione
dello Stato delle autonomie”. L’idea, lunedì scorso alle Cortes, è
piaciuta al punto che Sánchez è riuscito a farla approvare sia dai
popolari di Rajoy sia da Podemos. In sostanza si tratterebbe di mettere
allo studio una riforma della Costituzione in senso federale, garantendo
alla Catalogna - e forse non solo - maggiori poteri in diversi campi a
cominciare da quello della riscossione dei tributi. Prospettiva
incoraggiante, che però non troverà mai il consenso dell’ala più
estremista della sinistra indipendentista: la Cup (Candidatura d’unitat
popular), movimento antisistema presente solo in Catalogna, resta la
parte più intransigente di tutto lo schieramento separatista. Per loro
non c’è alternativa al referendum, bisogna farlo subito. Dopo l’assedio a
cui è stata sottoposta ieri la sede della Cup da parte della polizia,
c’è chi teme ora qualche intemperanza da parte delle frange più radicali
del movimento.