La Stampa 21.9.17
La partita che si gioca in Europa
di Cesare Martinetti
La
scelta brutale del premier spagnolo Mariano Rajoy di bloccare il
referendum catalano con l’arresto di un politico indipendentista e alti
funzionari del governo regionale riapre in modo drammatico la questione
dei nazionalismi. Dopo la vittoria di Brexit, la netta sconfitta di
Marine Le Pen alle presidenziali francesi aveva illuso i custodi
dell’Europa, quasi fosse il sigillo a uno scampato pericolo.
Ma si
trattava di un’anestesia e il risveglio di ieri è stato altrettanto
brutale: dai cosiddetti populismi alle indomate vene nazionaliste
passano differenze lessicali, ma spesso nemmeno quelle. Per questo è
parso a tutti fragoroso e clamoroso il silenzio registrato ieri a
Bruxelles di fronte alla scelta di Madrid di inviare la Guardia civil a
bloccare l’organizzazione del referendum del primo ottobre.
Tra i
leader europei solo dall’entourage di Angela Merkel, impegnata nelle
ultime ore di campagna elettorale, è arrivato un commento in favore del
mantenimento della stabilità e dell’integrità statale spagnola. Le
reazioni di ieri a Barcellona, per quanto pacifiche, non costituiscono
certo il presupposto di una stabilizzazione. C’è da augurarsi che la
prova di forza si risolva presto attraverso la politica. Arresti,
perquisizioni e Guardia civil evocano la storia nera della Spagna, il
muro che si è alzato ieri tra i «mossos» catalani e i gendarmi del
governo centrale sono già un confronto non solo simbolico su quel che
potrebbe accadere. I leader catalani parlano inevitabilmente di
«totalitarismo» da parte di Madrid: noi vogliamo votare, loro hanno
dichiarato guerra. Ma indipendentemente dalla svolta che prenderà la
vicenda catalana che ha radici storiche e democratiche, essa si inquadra
perfettamente nel diffuso senso di angoscia che soffia sul mondo
occidentale e che si trasforma di volta in volta in rivolta, chiusura,
ricerca di identità, sfiducia e diffidenza per i governi centrali. È la
domanda di una nuova sovranità, dopo che l’impalpabile anima europea si è
persa nella crisi e nella irriconoscibilità dell’azione comunitaria di
fronte alla crisi. Ed è un sentimento che attraversa sul piano
orizzontale destra e sinistra, o almeno quello che una volta in politica
si chiamava con questo nome. L’altro ieri all’Onu il presidente
americano Donald Trump si è proposto come il campione di queste
posizioni, sostenendo che il volano capace di unire gli Stati in un
nuova strategia è la «difesa della propria sovranità». Il francese
Emmanuel Macron si è contrapposto rilanciando la classica posizione
multilaterale per affrontare crisi come quella coreana. Tra i due si è
aperta una sfida che ha per posta la leadership ideale. Ma a ben vedere,
proprio nella vicenda francese, esemplare e simbolica che si è
consumata nel ballottaggio presidenziale del 7 maggio, si può
distintamente riconoscere il fattore «nazionale» come motore dell’uno e
dell’altro campo, di governo e di opposizione. Appena varcata la soglia
dell’Eliseo, Macron ha marcato ogni suo atto con il sigillo della
République, arrivando a promettere di ridorare la perduta «grandeur». La
celebrazione ostentata del 14 luglio - presente Donald Trump, a lungo
inutilmente corteggiato da Marine Le Pen - è stato l’atto più teatrale;
la schermaglia diplomatica con l’Italia per il controllo dei cantieri di
Saint-Nazaire, quello più concreto. C’è dunque un nazionalismo
antieuropeo e uno europeista, come quello di Macron o della Scozia che
si ribella a Londra e Brexit. C’è quello che si esprime da tempo
nell’Europa dell’Est, a Varsavia e con il suo governo eurodiffidente, a
Budapest con Orban che considera Putin (altro campione del nazionalismo,
ma su altra scala) come modello di democrazia autoritaria. Le elezioni
tedesche di domenica, dove Angela Merkel è vincitrice annunciata,
segneranno il ritorno dell’estrema destra (con sfumature neonazi) nel
Bundestag e misureranno nell’ampiezza dei risultati i sentimenti dei
tedeschi dopo la crisi degli immigrati di due estati fa. Ecco, intanto,
in Cataluña, sta andando in scena una rappresentazione che ci riguarda
tutti.