giovedì 21 settembre 2017

Repubblica 21.9.17
Corrado Augias. Cosa resta del 20 settembre
GENTILE dottor Augias, l’Italia si riconosce nel 25 aprile, nel 2 giugno, nella celebrazione dei martiri delle Fosse Ardeatine, ma ha rimosso la festa del 20 settembre. Dopo la caduta del fascismo, la Repubblica mantenne l’abolizione decisa da Mussolini di quella festa. Il 20 settembre 1870 l’Unità italiana veniva finalmente completata sancendo la sconfitta del potere temporale della Chiesa cattolica. Istituita per legge nel 1895, detta festa, almeno fino al primo decennio del Novecento, era rimasta assai popolare soprattutto a Roma, strappata al suo isolamento di secoli e trasformata dall’arrivo degli “italiani” in una vera capitale. La memoria del 20 settembre (testimoniata dalla presenza in tante città italiane di vie e piazze intitolate all’evento) andò perdendosi quando le varie forze componenti la società civile, trovando ostacoli a realizzare in Italia uno Stato veramente laico e una Chiesa cattolica rinnovata, attenta alla diffusione dei valori religiosi e alle verità di fede, preferirono praticare soluzioni compromissorie tese ad avvicinare comunque Quirinale e Vaticano.
di Lorenzo Catania

IN UNA parte della lettera che ho dovuto tagliare per le solite ragioni di spazio, il signor Catania ricordava un episodio così penoso da sconfinare nel ridicolo che francamente ignoravo. Ernesto Rossi, promotore del movimento “Giustizia e Libertà”, redattore con Altiero Spinelli del Manifesto europeista di Ventotene, dopo avere commemorato a Firenze il 20 settembre, venne denunciato per vilipendio alla religione di Stato e subì una perquisizione domiciliare per sequestrare il dattiloscritto con il discorso incriminato. Un’azione che sarebbe oggi inconcepibile il che aiuta forse a spiegare perché il 20 settembre abbia perso il suo rilievo emotivo. Non ha perso però la sua importanza storica, il dominio temporale della Chiesa era un relitto, l’unità politica della penisola sarebbe stata incompleta senza Roma. A questo aveva pensato Cavour — non vedrà quel giorno essendo mancato nel 1861 — facendo ripetutamente presente a papa Pio IX quanto la sua missione spirituale si sarebbe giovata dell’abbandono di troppe incombenze di governo. L’ostinazione del pontefice fu, per varie ragioni, irremovibile e si arrivò a quei poveri morti inutili, da una parte e dall’altra, e ai quattro colpi di cannone contro le mura aureliane. Seguirono anni di separazione ( non expedit) con i cattolici estranei alla vita politica, chiusi nel 1929 con il Concordato. Porta Pia fu un’impresa necessaria di non particolare gloria, ci si limitò a cogliere il momento: Napoleone III era stato sconfitto dai prussiani a Sedan, la sua protezione del papa era venuta meno. Così non era stato vent’anni prima, nel 1849, quando Luigi Napoleone, non ancora proclamatosi imperatore, aveva mandato le truppe e l’artiglieria per abbattere la Repubblica Romana che, prima di spegnersi, ebbe modo di darsi la più avanzata carta costituzionale d’Europa. Molti di quei principi, ancora attualissimi, sono stati riversati un secolo dopo nell’attuale Costituzione della Repubblica. I due eventi, 1849 e 1870, vanno letti insieme per capire che cosa veramente accadde in quel 20 settembre.