Repubblica 1.9.17
Nerone l’ecomostro infinito di Roma
Il sipario sul colossal è calato il 19 giugno La Regione Lazio aveva investito un milione
Dopo il flop mancano i soldi per smontare il mega palco al Palatino
di Sergio Rizzo
NELLA
Roma monumentale mancava un monumento allo spreco e all’oltraggio
ambientale. Lacuna ora finalmente colmata con l’ecomostro di ferro alto
trentasei metri e largo quaranta che troneggia da qualche mese sul
Palatino. Il ciclopico groviglio di tubi è quel che resta del Divo
Nerone, un’opera rock benedetta dal ministero dei Beni culturali le cui
repliche erano previste lì dentro fino a settembre inoltrato, davanti a
una platea di tremila posti a sedere. Il sipario è invece calato il 19
giugno. E abbiamo la certezza che non si alzerà mai più. Non sul
Palatino, di sicuro. Intervistato dall’Agenzia Italia dopo un debutto
claudicante, il suo organizzatore Cristian Casella aveva prospettato per
quello spettacolo, stroncato fulmineamente dalla critica e dal
pubblico, una sopravvivenza almeno ventennale.
SEGUE A PAGINA 19
SVENTATO
questo pericolo, lo stesso non si può dire purtroppo per l’ecomostro.
Sapendo come vanno le cose in Italia, il rischio che quell’immenso
obbrobrio metallico finisca per diventare a tempo indeterminato parte
del paesaggio dei Fori imperiali va messo nel conto.
Non sarebbe
neppure un inedito. Riaffiora alla mente la storia del meraviglioso
Tempio di Apollo a Selinunte, rimasto imprigionato per 12 (dodici) anni
da impalcature arrugginite, per indifferenza dei politici, sciatteria
dei burocrati e la solita scusa della mancanza di denari. E qui il
problema non si presenta molto diverso, soprattutto per l’ultimo
aspetto. Per abbattere quel monumento metallico così proporzionato alle
dimensioni della follia che l’ha generato da superare in altezza perfino
il Colosseo (l’anfiteatro Flavio misura 48 metri ma è sotto il colle
Palatino) servono un sacco di soldi. Dovrebbe scucirli Nero Divine
Ventures, la società organizzatrice, che però non ha pagato nemmeno gli
artisti: figuriamoci se ha i quattrini necessari a smontare chilometri
di tubi.
Accanto ai fratelli Cristian e Marco Casella, il primo
già collaboratore per l’immagine di Silvio Berlusconi quando il
Cavaliere era a palazzo Chigi e il secondo già responsabile dei giovani
di Forza Italia, c’è pur sempre la Regione Lazio, che attraverso la
società controllata Lazio Innova ha sborsato per entrare in questa
discutibilissima operazione più di un milione di soldi pubblici. Così
incautamente che quando ha visto la mala parata ha pensato bene di
avviare un’indagine per capire come è riuscita a infilare se stessa in
questo pasticcio. E non è nemmeno escluso che su questa faccenda, come
ha raccontato sulle pagine di Repubblica il nostro Gabriele Isman, non
si accenda il faro della Corte dei conti. Difficile immaginare come
adesso la Regione presieduta da Nicola Zingaretti possa prendere in mano
la situazione. E poi, a che titolo?
Quanto al Campidoglio, nella
storiaccia del Divo Nerone non c’entra nulla. L’ecomostro sorge infatti
nell’area dei Fori di pertinenza statale. Dove l’amministrazione
capitolina non ha dunque voce in capitolo. Il che non toglie una virgola
al fatto che quell’offesa al patrimonio culturale sia stata perpetrata a
Roma, e forse una parolina da parte della sindaca o di chi per lei
sarebbe stata gradita anche prima del patatrac. Ma tant’è.
Infine
il ministero dei Beni culturali, che invece in questa vicenda ha le
principali responsabilità politiche, avendo autorizzato ecomostro e
spettacolo. Il soprintendente Francesco Prosperetti, che dopo aver
firmato la concessione ha detto di essere rimasto sorpreso dalle
dimensioni del palco, in proposito è stato molto chiaro. Le sue parole
suonano come una sentenza: «È buon costume che davanti al patrocinio del
ministero le soprintendenze non pongano vincoli». Traduzione: ci hanno
detto di farlo e l’abbiamo fatto. E anche qui sarebbe interessante
sapere com’è andata davvero.
A questo punto c’è solo una cosa che
potremmo ritenere ancor meno accettabile del danno arrecato con questa
operazione non soltanto ai contribuenti italiani ed europei (il milione
versato dalla Regione viene dai fondi comunitari) ma anche all’immagine
di una capitale che già non se la passa bene. Ossia, lo scaricabarile:
se ne sente già l’odore. Per favore, risparmiateci almeno quello, e che
ognuno, per una volta tanto, si assuma le proprie responsabilità.
Ripulite il Palatino, uno dei luoghi più belli e preziosi del pianeta,
da quell’orrore. E fatelo più in fretta possibile. Per regolare i conti,
poi, ci sarà sempre tempo: e state pur certi che qualcuno dovrà
pagarli.