venerdì 1 settembre 2017

Repubblica 1.9.17
Cry for me, Argentina la dittatura e i segreti dei desaparecidos
Nel romanzo “Doppio fondo” di Elsa Osorio il mistero di una militante e il ritorno dei fantasmi
di Susanna Nirenstein


IL LIBRO Doppio fondo di Elsa Osorio (Guanda, trad. di Roberta Bovaia e Marco Amerighi pagg. 410 euro 19,50)

È la paura la fonte viva della scrittura di Elsa Osorio. Anche se negli anni della dittatura argentina, dal 1976 al 1983, non ha vissuto in prima persona l’orrore dei centri di tortura che la giunta militare aveva nascosto in decine di caserme e garage, è stata perseguitata dal panico di finirci dentro. Come raccontò in un’intervista, ripuliva la casa di continuo con l’incubo di una perquisizione: «Qualsiasi cosa avessero trovato poteva essere un elemento di accusa» perché loro cercavano niente e tutto, per tenerti sul filo del rasoio e metterti le manette alle mani e ai piedi. Una volta ad esempio fu bloccata all’aeroporto perché aveva nella borsa un libro di Tolstoj, un russo, «un grave motivo di allarme dunque».
Dal 2000 ha trovato la forza di dar voce al disgusto, alla memoria di quell’abominio che ha mietuto trentamila vittime, e combattere l’oblio. Ora, a 62 anni, continua a farlo, con la stessa convinzione, la stessa capacità di costruire romanzi mozzafiato, veri e propri noir che ti tirano dentro esattamente come fece il suo primo grande successo, I vent’anni di Luz. Era la storia di una bambina adottata e cresciuta in una famiglia di militari dopo l’uccisione della madre rivoluzionaria – una prassi consolidata nel regime, tenere in vita le donne gravide, assassinarle dopo il parto, adottarne i figli. Ora Osorio riprende il filo. E con Doppio fondo (Guanda) ci porta tra i desaparecidos e i torturatori che li acchiappavano, li spremevano e li facevano fuori, buttandoli da un aereo in mezzo al mare. Qui la fine è nota a pagina 11. Siamo nel 2004, e il corpo della sessantenne Marie Le Boullec, franco-argentina, viene trovato dai pescatori di Turballe, costa francese, vicino a Saint Nazaire. Nel breve capitolo precedente abbiamo letto parte di una missiva spedita da una donna a un figlio che ha abbandonato da bambino. Cerca di spiegargli come è stato possibile, e allora racconta l’amore, la nascita, un altro amore, la militanza politica nelle Fuerzas Armadas Revolucionarias e i Montoneros, un appuntamento maledetto, la cattura nel 1976 insieme al piccolo, la detenzione all’Esma, l’Escuela de Mecànica de la Armada, un carcere clandestino poi tristemente noto per le torture e le morti, il massacro del suo corpo e della mente. Infine l’offerta di avere salva la vita sua e quella del bambino di tre anni consegnandolo al padre in Olanda, se avesse collaborato.
Noi sappiamo, quella donna riaffiorata in Francia probabilmente è lei, la desaparecida della lettera al figlio, ma gli inquirenti no, e poi siamo nel 2004, in Francia. Che cosa c’entra un volo della morte nel terzo millennio? E poi chi l’avrebbe uccisa, un generale redivivo? È più facile che si sia suicidata dopo la morte del marito, per depressione, dicono le autorità. Eppure Fouquet, l’ispettore incaricato in via di pensionamento, ha l’età giusta per mettere insieme l’Argentina e un corpo caduto in acqua e poi affogato con delle tracce di Pentothal nel sangue e le ossa spezzate nei punti giusti per essere caduto dall’alto, da molto in alto. Con lui, una giovane giornalista. Le prove e i salti nel passato si srotolano e si riarrotolano. La Osorio procede spedita, ogni manciata di pagine una svolta che chiede e fornisce una nuova risposta. Una scelta narrativa che dà forza alla memoria e ci tira dentro come una spirale al cui apice esiste comunque un futuro, un futuro possibile.