Repubblica 19.9.17
Europa, poni fine al dramma degli eritrei
L’appello
è sottoscritto da Benjamin Abtan, presidente del Movimento europeo
antirazzista EGAM, e da altre 25 personalità tra cui l’italiano Oliviero
Toscani
CARO direttore, bisogna porre fine
all’oppressione del popolo eritreo. Un sistema totalitario, oppressione
generalizzata della popolazione, servizio militare a tempo
indeterminato, totale assenza di libertà, penuria di mezzi di
comunicazione, nessun futuro che non sia schiavitù: è questo l’inferno
in cui vivono gli eritrei, l’inferno da cui alcuni cercano di fuggire.
Issayas
Afeworki, eroe della trentennale guerra d’indipendenza contro
l’Etiopia, è diventato l’aguzzino del suo popolo. Governa con il terrore
in assenza di una costituzione, di un Parlamento, di un’opposizione, di
elezioni, di una stampa libera. Il 18 settembre 2001 ha fatto arrestare
e incarcerare i suoi principali oppositori. Sono passati sedici anni
senza un processo, un’imputazione, le famiglie non hanno mai ricevuto
notizie dei detenuti. Non si sa neppure se siano ancora vivi.
A
prezzo di sforzi titanici alcuni coraggiosi sono riusciti a fuggire,
eludendo il sadico controllo degli apparati di sicurezza dello stato.
Dopo aver vagato mesi, talvolta anni, a piedi, su camion e imbarcazioni,
hanno raggiunto l’Europa. Molti hanno subito torture, rapimenti,
sequestri o rapine. Tutti hanno visto morire amici e compagni di
viaggio.
Che accoglienza trovano in Europa questi coraggiosi
sopravvissuti? Secondo il più comune senso morale e il diritto
internazionale dovrebbero essere accolti dignitosamente e ottenere
subito lo status di rifugiati. Ma seppure le domande di asilo siano
accolte nella quasi totalità dei casi, molti posticipano l’avvio della
procedura per mancanza di informazioni e di consulenza e sostegno da
parte delle autorità. Inoltre la procedura di naturalizzazione nel paese
ospite prevede che i richiedenti siano dotati di passaporto. Per
ottenerlo sono costretti a recarsi all’ambasciata del paese da cui sono
fuggiti e ad autodenunciarsi per la fuga, dichiarando di accettare
qualunque pena essa comporti. Molti rinunciano per non esporre i propri
familiari in patria a gravi ritorsioni.
Che atteggiamento ha l’Europa nei confronti dell’Eritrea?
Ossessionati
dal timore che i profughi raggiungano il continente, gli stati europei
versano all’Eritrea milioni di euro nella speranza di evitare l’esodo.
Inoltre consentono che lo stato eritreo estorca una tassa del 2% sulle
rimesse degli eritrei della diaspora, nonostante la condanna dell’Onu.
Stringono inoltre accordi con il regime criminale del Sudan, che affida
il controllo di alcune porzioni del confine con la Libia alle milizie a
suo tempo responsabili di crimini contro l’umanità nel Darfur, le quali
talvolta collaborano con soggetti discutibili che sfruttano e
bistrattano i profughi. Sbagliando, gli europei prendono a modello il
disastroso accordo Ue-Turchia sui migranti, con effetti devastanti sulla
democrazia e i diritti umani.
Questa politica ha conseguenze
opposte agli auspici e contrarie ai valori fondamentali dell’Unione
Europea: il regime di Asmara si è rafforzato, invece di diventare meno
totalitario, aumentando la spinta all’esodo e aggravandone i rischi. Il
numero degli aspiranti profughi non diminuisce e quello dei morti e
degli oppressi aumenta.
Per aiutare gli eritrei a costruire un
futuro che non sia di sofferenza, schiavitù ed esilio, ma di libertà e
prosperità, bastano poche semplici iniziative.
Innanzitutto le
autorità dei paesi europei devono fornire prontamente informazioni agli
eritrei entrati nel continente con l’obiettivo di concedere loro lo
stato di rifugiati il prima possibile. Occorre poi modificare la
procedura di naturalizzazione in modo che gli eritrei non siano
costretti a scegliere tra la cittadinanza del paese ospite e la
sicurezza dei loro familiari.
In secondo luogo vanno cambiate
radicalmente le politiche europee riferite all’Eritrea, la tassa del 2%
non può essere più tollerata, bisogna smettere di contribuire a
rafforzare il regime totalitario e l’oppressione degli eritrei, in
particolare di coloro che cercano di fuggire dal paese. A questo fine
non dobbiamo più essere paralizzati dal terrore di vedere i dannati
della terra arrivare in Europa, e bisogna rendersi conto che l’accordo
Ue-Turchia sui profughi non è un esempio da seguire, ma da evitare.
Infine
occorre aiutare le famiglie degli oppositori del regime che sono in
carcere, principalmente ad avere notizie dei loro cari, ad esempio
grazie all’appoggio di personaggi pubblici.
Bisogna sostenere
anche gli oppositori, gli attivisti e i giornalisti in esilio, in modo
da ricostituire una società pluralistica, vitale e libera.
Esiste la giustificazione morale e l’urgenza politica ad agire per porre fine all’oppressione degli eritrei.
(Traduzione di Emilia Benghi)