Repubblica 19.9.17
Mosca.
Wallenberg salvò migliaia di ebrei e poi scomparve nel nulla Ma la causa contro gli 007 salta subito
Niente processo al Kgb Il mistero senza fine dello “Schindler svedese”
di Rosalba Castelletti
MOSCA.
La scomparsa in un carcere sovietico di Raoul Wallenberg, lo “Schindler
svedese” che salvò migliaia di ebrei ungheresi dall’Olocausto, è uno
dei più grandi misteri della seconda guerra mondiale. E tale resterà.
Dopo anni di battaglie legali, i suoi familiari avevano infine ottenuto
un’udienza presso un tribunale moscovita: chiedevano che i servizi
segreti russi Fsb, eredi del Kgb, rendessero finalmente pubblici i
documenti sulla sua morte. Richiesta respinta.
Giovane rampollo di
una ricca famiglia di industriali svedesi, Raul Wallenberg viene
inviato da Stoccolma in Ungheria dopo l’invasione delle truppe naziste.
Trentun anni, una laurea in Architettura e nessuna esperienza
diplomatica, Raoul arriva a Budapest mentre i rastrellamenti delle SS
sono in corso nelle campagne. L’ambasciata svedese ha già iniziato a
distribuire agli ebrei dei lasciapassare, una sorta di passaporto
svedese. Wallenberg ne migliora la credibilità e ne fa stampare a
migliaia. Non solo. Li smista personalmente. Per farlo arriva ad
arrampicarsi sul tetto di un vagone in partenza per Auschwitz. Salva
migliaia di vite dalla deportazione, almeno 20mila. Forse di più, ma non
la sua.
Il cosiddetto “mistero Wallenberg” inizia il 17 gennaio
1945 durante l’assedio sovietico di Budapest: Raoul viene convocato nel
quartier generale dell’Armata rossa e arrestato per spionaggio. Se ne
perdono le tracce. Solo lo scorso ottobre il governo svedese lo ha
dichiarato formalmente morto. Da anni la famiglia dell’eroe di Budapest
si scontra con il muro di contraddizioni dell’Urss prima e della Russia
poi. Nel 1957 Mosca sostiene di non avere documenti sulla prigionia di
Raoul, se non un parziale referto medico: attesta che Wallenberg sarebbe
morto d’infarto nel luglio 1947, all’età di 34 anni, nelle segrete
della Lubjanka, sede dell’odierno Fsb. Nel 1989 la famiglia si vede però
recapitare passaporto, effetti personali e persino una copia del
fascicolo carcerario. Nel 2000, infine, un’inchiesta congiunta
russo-svedese conclude che è «molto probabile» che il giovane
diplomatico non sia morto per cause naturali.
A gettare nuova
luce, e nuovi ombre, sul mistero sono stati i diari di Ivan Serov, capo
del Kgb tra il 1954 e il 1958, trovati cinque anni fa tra le
intercapedini della sua dacia e pubblicati l’anno scorso. «Non ho dubbi –
scriveva Serov – che Wallenberg sia stato eliminato ». L’ordine,
aggiunge, sarebbe arrivato da Josif Stalin e dall’allora ministro degli
Esteri Vjaceslav Molotov. Così gli avrebbe confessato durante un
interrogatorio Viktor Abakumov, ex capo dello Smersh, il dipartimento di
controspionaggio, vittima nel 1954 delle purghe staliniane.
Forte
di queste nuove rivelazioni, Marie Dupuy, nipote di Wallenberg in prima
fila nella ricerca della verità, si è rivolta alla giustizia russa
chiedendo che l’Fsb mostrasse i documenti menzionati nei Diari di Serov.
Ieri il tribunale Mechtchanskij ha però respinto la richiesta. Caso
chiuso. Resta solo uno spiraglio, benché minimo. Il legale dell’Fsb ha
affermato che, per desecretare i documenti sulla «vita personale» dei
detenuti occorre il consenso dei familiari di tutte le persone
menzionate oppure che passino 75 anni. Il che, nel caso Wallenberg,
equivale al 2020 o 2022. «Potete attendere questa scadenza», ha
aggiunto. «Fingono di preoccuparsi dei destini delle persone che i loro
predecessori perseguitarono», ha commentato Ivan Pavlov, avvocato della
famiglia Wallenberg. Marie insiste: continueremo a pretendere risposte
sul destino di Raoul finché non sapremo cosa gli è successo e perché. È
quello che si chiedono in molti: perché?