il manifesto 19.9.17
La riconciliazione Abu Mazen-Hamas è ancora tutta da costruire
Gaza.
Restano forti i dubbi sulle possibilità delle due parti di trovare
un'intesa nonostante l'apertura fatta dagli islamisti al presidente
dell'Anp. Pesano i fallimenti del passato ed i giochi dietro le quinte
degli egiziani
di Michele Giorgio
Siamo
davvero giunti a due passi dalla riconciliazione nazionale palestinese
oppure siamo di fronte all’ennesimo proclama di buone intenzioni
destinato a non essere seguito da passi concreti come è avvenuto in
passato? L’interrogativo è lecito. Tutti ricordano, nel 2014, l’enfasi
con cui fu annunciata la “pace” tra il partito Fatah, guidato dal
presidente Abu Mazen, e il movimento islamico Hamas che dal 2007
controlla la Striscia di Gaza. Le due parti, assieme ad altre forze
politiche palestinesi, formarono anche un governo di unità nazionale.
Tutto naufragò nei mesi successivi. E la situazione oggi non appare
molto diversa.
I dirigenti di Hamas, dopo intensi colloqui con
l’Egitto durati settimane, hanno annunciato due giorni fa di aver
sciolto il “Comitato amministrativo” formato a inizio anno – in questi
nove mesi ha svolto a Gaza le funzioni di un governo vero e proprio -,
quindi hanno dato il via libera ad elezioni politiche generali
(sarebbero le prime dal 2006), infine hanno assicurato che permetteranno
a un esecutivo di intesa nazionale di estendere la sua autorità su
Gaza. In pratica hanno accettato le tre richieste fatte da Abu Mazen per
mettere fine alla sua linea del pugno di ferro a Gaza che in questi
ultimi mesi l’hanno visto abolire finanziamenti e sussidi, ridurre del
40% il pagamento della bolletta energetica della Striscia, mandare in
pensione migliaia di dipendenti pubblici e tagliare del 30% lo stipendio
a quelli in servizio (anche se costretti da 10 anni a non lavorare per
boicottare Hamas). Non sorprende la (cauta) soddisfazione del presidente
palestinese e quella di alcuni dei più importanti dirigenti di Fatah
per la “vittoria” ottenuta.
Il capo dei negoziatori di Fatah,
Azzam al Ahmed, andrà al Cairo entro 10 giorni per un primo colloquio
con il capo della direzione politica di Hamas, Ismail Haniyeh, e il
responsabile per la Striscia di Gaza, Yahya Sinwar. A questo incontro
dovrebbe seguire un vertice a cui parteciperanno tutte le forze
politiche palestinesi con l’obiettivo di eliminare tutti gli ostacoli
all’intesa nazionale. Ci sarà poi l’accordo? E in quel caso sarà
applicato? I dubbi sono forti tra i palestinesi. Le difference
ideologiche e strategiche tra Hamas e Fatah sono molto ampie. E se è
chiaro che gli islamisti, mostrandosi flessibili con i mediatori
egiziani e dicendosi pronti ad accogliere le richieste di Abu Mazen
cercano di rompere l’isolamento in cui sono caduti (anche nel resto
regione), è altrettanto evidente che i nodi principali non sono stati
sciolti. A cominciare da quello della sicurezza. Hamas a Gaza ha un
braccio armato, Ezzedin al Qassam, ben armato e ben addestrato, di cui
fanno parte migliaia di uomini. Questi miliziani risponderanno agli
ordini di Abu Mazen o a quelli di Ismail Haniyeh quando sarà formato il
governo di intesa nazionale? Un compromesso è possibile ma pochi credono
che Ezzedin al Qassam possa accettare la piena autorità dell’Anp. Un
altro nodo sono gli oltre 40mila dipendenti pubblici
dell’amministrazione civile di Hamas a Gaza. Abu Mazen ha sempre detto
che l’Anp non includerà mai queste persone tra i suoi impiegati. Hamas
invece insiste perché ciò avvenga.
Qualcuno teorizza una manovra
dell’Egitto volta a colpire Abu Mazen. «Il Cairo non ha dimenticato il
secco rifiuto del presidente palestinese alla riconciliazione con (il
suo avversario ed ex dirigente di Fatah) Mohammed Dahlan, sulla quale
insiste ancora il Quartetto arabo (Egitto, Arabia saudita, Emirati e
Giordania,ndr)», dice al manifesto il giornalista di Gaza Aziz Kahlout.
«Dovesse fallire ancora una volta il processo di riconciliazione
nazionale» avverte Kahlout «gli egiziani non esiteranno ad addossare la
colpa ad Abu Mazen, dipengendolo come troppo rigido nei confronti di
Hamas che era pronto ad accettare le sue richieste». In quel caso,
prevede il giornalista, «gli egiziani faranno un accordo proprio con
Dahlan per migliorare le condizioni di Gaza in modo da promuoverlo come
futuro leader palestinese, accordo che senza alcun dubbio sarà accettato
da Hamas».
Da parte sua Abu Mazen in questo momento si concentra
su altro. A New York, dove è giunto ieri, si prepara ad incontrare
Trump, prima del suo discorso all’Assemblea generale dell’Onu. Secondo
le indiscrezioni proverà a strappare al presidente americano l’impegno
degli Usa a sostegno della nascita di uno Stato palestinese accanto a
Israele. Un tentativo destinato quasi certamente a fallire tenendo conto
della posizione espressa a più riprese dall’Amministrazione Usa
contraria a qualsiasi soluzione predefinita nel conflitto
israelo-palestinese, a cominciare proprio da quella a “Due Stati”, che
pure è stata sostenuta per oltre venti anni da Washington e dal resto
dei governi occidentali. Un fallimento potrebbe spingerlo a ricercare,
come in passato, il riconoscimento della Plaestina al Consiglio di
Sicurezza dell’Onu.